Il fatto che siano stati stornati dei fondi statali destinati alle aree protette per compensare il caro bollette dell’energia elettrica permette di valutare ancora una volta l’attenzione all’ambiente del ministro Roberto Cingolani, così caro a Beppe Grillo (che non ne azzecca proprio più una), ma nel contempo permette anche di analizzare l’atteggiamento generale verso le aree protette, nazionali o regionali che siano.

L’idiosincrasia verso la protezione della natura tramite norme cogenti (come avviene appunto per i parchi) direi che è una delle più evidenti dimostrazioni della stupidità degli italiani. In altri paesi europei le comunità locali spesso ambiscono che il loro territorio venga protetto per le ricadute positive sul territorio che le aree generano; qui da noi lo si sopporta a malapena, quando non lo si combatte. E parlo di stupidità a ragion veduta.

Tutte le aree protette che furono istituite con la famosa legge-quadro del lungimirante verde Gianluigi Ceruti (Legge 6 dicembre 1991, n. 394), hanno portato benefici alle comunità locali (lo denunciava chiaramente un rapporto del ministero dell’Ambiente di pochi anni fa), così come del resto avevano portato benefici le aree protette nazionali già esistenti, dal Parco del Gran Paradiso a quello d’Abruzzo (il comune di Civitella Alfedena salì all’onore delle cronache per il più alto reddito pro-capite d’Italia). Così come se ne beneficia l’area marina protetta di Portofino, meta continua di escursioni subacquee, quando invece sulla terraferma la regione Liguria si oppone all’istituzione del Parco nazionale e si merita la bandiera nera di Legambiente.

Del resto i parchi nazionali debbono essere istituiti previa accordo con le comunità locali – Regioni e Comuni – e questo spiega perché buona parte di quelli che dovevano essere istituiti in base agli articoli 34 e 36 della legge quadro non sono stati istituiti, oppure sono parchi a metà come l’Isola d’Elba, oppure ancora sono diventati parchi regionali burla, consentendo qualsiasi scempio come le Alpi Apuane.

Del resto, esemplare dell’insensibilità delle comunità locali sono le nomine dei presidenti delle aree protette che sono legati a questo o quel carrozzone politico, senza qualsivoglia preparazione in materia di ambiente. Insomma, il solito quadro a tinte fosche, dove sulla terraferma comandano i palazzinari e i cacciatori e in mare i pescatori.

Torniamo a Cingolani. Probabilmente si rimedierà all’”errore formale” (come lo definisce lui) e i soldi per i parchi torneranno ai naturali destinatari, ma resta quella orticaria di fondo, quella palmare insofferenza che un’area protetta genera. Quella, noi italiani, ce la terremo sempre.

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