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Morto Paolo Beldì, chi era il genio della regia “migrato” in Rai per costruire la pietra della domenica pomeriggio e disegnare la storia della tv

Aveva 66 anni ed è stato trovato senza vita nella sua abitazione a Magognino, frazione di Stresa, seduto su una poltrona, venuto a mancare probabilmente per un infarto. Doveva raggiungere degli amici per vedere insieme Italia-Belgio, lui che di calcio ne aveva masticato a tonnellate

di Davide Turrini

Addio Paolo Beldì, genio della regia televisiva. Aveva 66 anni ed è stato trovato senza vita nella sua abitazione a Magognino, frazione di Stresa, seduto su una poltrona, venuto a mancare probabilmente per un infarto. Doveva raggiungere degli amici per vedere insieme Italia-Belgio, lui che di calcio ne aveva masticato a tonnellate, tifoso della Fiorentina, e metteur en scene, ideatore, sfruculiatore di un rivoluzionario helzapoppin tv come Quelli che il calcio.

Dal 1993 al 2009 Beldì era “migrato” in Rai per costruire la nuova pietra angolare della domenica pomeriggio (quando il calcio si giocava di domenica pomeriggio), anzi ci era andato ancor prima già nel 1991 quando cominciò a rimescolare le carte di figure intere sedute, primi piani e dettagli (le celebri scarpe di Sandro Paternostro, gli oggetti portati dagli ospiti e i dettagli dei loro abiti) in Diritto di replica, un gioiello di talk vis a vis ma corale, sorta di sarcastica e raffinata Zanzara con Fabio Fazio, Oreste De Fornari, Enrico Magrelli e Stefano Magagnoli. Agli anni novanta in Rai, quelli di Celentano e Paolo Rossi, ci torniamo tra un attimo, apice del Beldì modellatore di inquadrature (ah, come ci dimentichiamo spesso quanto conta la regia tv oggi che è melassa generalizzata).

Beldì si era fatto le ossa nella tv commerciale, prima Antenna Tre, assistente di Beppe Recchia sul finire degli anni settanta, poi direttamente nel Biscione di Silvio Berlusconi negli anni ottanta. È lì che traiamo spunto per capire cosa significasse non tanto improvvisare come nelle tv locali all’arrembaggio dei ’70, quanto invece stare sul pezzo, dare significato ad un’intera idea di programma, senza troppa preparazione, con una inquadratura. Siamo nel 1988, Matrioska su Italia 1. Un late night di Antonio Ricci molto ma molto hard (queste cose c’erano ancora in tv trent’anni fa). Ebbene, Beldì allora nemmeno quarantenne ha sempre raccontato di quando Ricci fece entrare in studio, senza che lui o nessun altro della produzione lo sapesse, Moana Pozzi nuda. È lì che, direbbero gli Amici miei di Monicelli/Germi, il genio è fantasia, intuizione, colpo d’occhio, velocità d’esecuzione. Ecco cos’era Beldì.

Rivedetevi Svalutation, le due puntate primigenie dell’Adriano Celentano in Rai nel 1992. Dopo, solo dopo, verrà tutto il resto e anche l’abisso recente su Canale 5. Ma lì Adriano costruisce il mito e un pezzo di quella statua gliela fabbrica Beldì con i suoi stacchi, con quella specie di grandangoli sul pubblico, con una regia che deve seguire e mai perdersi almeno quindici ospiti in scena (dal maggiordomo Bruno Gambarotta, ai musici del Molleggiato, agli ospiti cantanti – Jovanotti, Baglioni, Morandi). È l’epoca in cui la comicità e la musica in tv sono un happening, lo spazio è sperimentazione, la tecnologia è in evoluzione ma ancora artigianale. Quell’aria di gioviale baldanza costruttiva, di senso dell’immagine che si fa quasi istintivamente, in presa diretta, è un balsamo ricostituente per gli spettatori. Prendete Su la testa!, sempre 1992. Gino e Michele, Paolo Rossi, il teatro tenda, la band di accompagnamento in un angolo del palco a semicerchio. Beldì è il sarto della trama e dell’ordito, la sua prontezza sorniona, il suo humor sotteso, si fonde con la follia politica di Rossi&co.e quella stagione di risata travolgente e intrattenimento intelligente segna il passo di una trasformazione necessaria.

Poi chiaro, alla fine si deve pur mangiare. Le mode passano, direbbe Celentano (che poi Beldì se lo porta dietro quasi fino ad oggi nei suoi show tv). Il ragazzo di Novara col padre pubblicitario non perde la sua verve, ma ovviamente si uniformizza. Tre Festival di Sanremo, due con Fazio (1999-2000) e un altro con Panariello (2006). La tv è già cambiata. È un’altra cosa. È una bomboniera anonima e asettica dove non cade mai qualcosa per terra e, nel caso accada, mai la telecamera (al cinema c’è la macchina da presa, in tv la telecamera) la va a registrare. Ricordiamolo così Paolo Beldì quando con un Fazio giovanissimo, uscito, anzi non ancora entrato nel baccello degli ultracorpi di Che tempo che fa, inventa Quelli che il calcio (è il 1993) e con una voce fuori campo dialoga in diretta col conduttore, con gli ospiti fissi del banco (Bartoletti e Carlo Sassi). In scena anche il regista, tra pari, a disegnare la storia della tv italiana.

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