La foto rimbalza sui social network ormai da diversi giorni. Nello scatto si vede la faccia di un uomo appiccicata con il copia-incolla su una maglia bianconera. Completa l’opera una scritta che riporta una sua dichiarazione: “Non sono proprio di Napoli e tifo Juventus fin da quando ero piccolo”. Quel volto è facilmente riconoscibile. Ed è proprio questo il problema. Perché quell’uomo con i capelli grigi, gli occhiali dalla montatura leggera e lo sguardo intento a scrutare il futuro davanti a sé è Gaetano Manfredi, il candidato sindaco di Napoli dell’asse PD-M5S-LEU. È un’immagine che ha fatto discutere. Parecchio. Perché sottintende un cortocircuito: il massimo rappresentante di una città che ne abiura pubblicamente il suo credo calcistico, che fa saltare l’identificazione fra Napoli e il Napoli, che apre a un avversario dipinto da decenni come nemico.

Chiacchiere da bar che diventano estremamente serie. Soprattutto in un Paese impegnato in una campagna elettorale permanente, dove il consenso si conquista a colpi di meme, di post sui social network, di frasi spot. E allora ecco che quella foto è diventata munizione in mano agli avversari, si è tramutata in un colpo dar far esplodere per sottolineare una presunta mancanza altrui. Il tema è attuale, ma non inedito. In vista della sua corsa a sindaco di Roma Walter Veltroni aveva deciso di annacquare la sua fede bianconera. E appena un paio di settimane dopo la sua elezione, si era fatto immortalare all’Olimpico, sciarpetta giallorossa al collo, intento a festeggiare lo scudetto dei capitolini. Nove anni più tardi Renata Polverini, candidata del centrodestra alla Regione Lazio, aveva deciso di osare ancora di più. Blanda tifosa giallorossa, si era fatta fotografare a cavalcioni sulla balaustra della Curva biancoceleste, gomito a gomito con Mauro Zarate (squalificato). Una trovata che era stata parzialmente rovinata da un imprevisto: la Lazio aveva incassato due gol dal Bari di Gian Piero Ventura. E non era riuscita a segnarne neanche uno.

Stavolta la faccenda appare ancora diversa. Lo steccato sembrava impossibile da far saltare in aria. Perché per anni era stato protetto da un arsenale di retorica. La stessa che è stata fatta detonare in questi giorni. Il gioco delle antitesi è partito quasi subito. Nord contro Sud. Potenti contro deboli. Palazzo contro popolo. Mirafiori contro Pomigliano d’Arco. Immagini scolorite che hanno ripreso improvvisamente tinte vivide, come quella delle fabbriche pronte a fagocitare l’emigrante con la valigia in mano. Arcaismi sempiterni, elementi dello repertorio che era stato tirato fuori un paio di anni fa, quando Maurizio Sarri aveva firmato per la Juventus. Solo che stavolta in ballo non c’è il futuro di una squadra, ma di una città intera. Pensare che gli elettori possano votare un sindaco in base alla sua fede calcistica è una professione di ingenuità. Ma credere che questo non possa incidere sulla corsa di un candidato è da sprovveduti. Soprattutto in una era dove le campagne elettorali si contendono ogni singolo stereotipo nel tentativo di costruire un’identità condivisa, di creare una identificazione totale. Figure che richiamano elementi irrazionali e tribalistici. E proprio per questo estremamente potenti.

Così nei giorni scorsi Gaetano Manfredi ha deciso di sfumare le righe verticali sulla sua maglia. “Quando sarò sindaco il Napoli vincerà di nuovo lo scudetto”, ha detto. E ancora: “Ho amato tanto Maradona“. Poi il colpo di scena a favore di telecamera, con il candidato sindaco che durante la visita alla Pignasecca regala all’ex Premier Giuseppe Conte una maglia del Pibe de Oro. Con tanto di massima: “Il genio mette tutti d’accordo”. È una dichiarazione che mette fine a una grandinata di polemiche. O forse no. Finora Manfredi ha fatto notizia più per la sua fede bianconera che per il suo programma. Tanto che in molti si sono domandati se davvero uno juventino può diventare sindaco di Napoli. “La città ha tollerato i Gava, figuriamoci se non può tollerare gli juventini – dice al ilfatto.it Marco Ciriello, giornalista e scrittore, autore fra l’altro di Maradona è amico mio, uscito per 66thand2nd – Napoli è la città dell’inclusione, lo addobberanno come un albero di Natale, diventerà maradoniano alla prima vittoria, lo aviotrasporteranno allo stadio, diventerà uno striscione, un Pulcinella. Dobbiamo ricordarci una cosa: quando i francesi prendono Napoli nel 1799, dopo giorni d’assedio, i Lazzari si lavano le mani con il limone e poi abbracciano i francesi. Ecco, Manfredi diventerà napoletano e magari qualche assessore diventerà juventino”.

Ma c’è dell’altro. Perché gli stereotipi sono in mano anche a chi li subisce. E il loro valore universale viene utilizzato anche da chi prova a combatterlo. Così nei giorni scorsi Manfredi ha postato un’immagine particolare. Seduti intorno a un tavolo di una famosa pizzeria in zona Forcella ci sono il candidato sindaco, l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e la capogruppo del M5S in consiglio regionale della Campania, Valeria Ciarambino. Ma ci sono soprattutto le tipiche pizze napoletane. Un prodotto che è diventato brand territoriale. Non sempre in maniera positiva. “Quella foto mi dà molto più fastidio – aggiunge Ciriello – vuol dire che Troisi è passato invano, che non ha insegnato niente”. C’è anche chi, però, ha apprezzato la sincerità di Manfredi. “Il fatto che non abbia nascosto il suo essere juventino denota onestà – ci ha detto Maurizio De Giovanni, il papà del commissario Ricciardi – ma poi vuole mettere quanto sarà divertente sfottere il sindaco di Napoli dopo che abbiamo battuto la Juventus?”. Dietro le discussioni sull’appartenenza calcistica del candidato sindaco, però, c’è una questione culturale. “Si tratta di una nota di colore – aggiunge De Giovanni – non possiamo credere che l’elettorato sia così bovino da lasciarsi influenzare da queste scelte. Napoli viene dal secondo mandato di De Magistris, che è stato sempre meno presente e la città ne ha risentito. Negli ultimi anni abbiamo sofferto di un isolamento istituzionale che deve essere superato. Abbiamo problemi serissimi e ci avviciniamo a una scelta di importanza capitale. Bisogna scegliere in base ai programmi. Altrimenti basterebbe candidare una bella ragazza o un grande sportivo per fare il pieno di voti”. Ma non finisce qui. Perché un sindaco juventino potrebbe rappresentare addirittura una grande opportunità per la città. Ne è sicuro Marco Marsullo, l’autore di Atletico Minaccia Football Club e L’anno in cui imparai a leggere (entrambi pubblicati da Einaudi). “È ora di far uscire un po’ di odio dal calcio – ci ha spiegato – la rivalità sportiva è giusta e sacrosanta, sul campo e sugli spalti, ma questo potrebbe essere un modo per far capire che gli avversari non devono essere detestati. Bisogna svecchiare Napoli, piantarla con queste idee ormai superate della lotta al Nord. Se vuoi diventare una grande città devi abbandonare certe divisioni campanilistiche che sono ormai anacronistiche”. E ora, silenziati i cori, ci saranno delle voci che dovranno alzarsi sempre più forti. Quelle che leggono il proprio programma elettorale.

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