Chissà se ha ragione Guido Crosetto. Secondo l’esponente di Fratelli d’Italia c’è un piano ben preciso da parte di Lega e Forza Italia per boicottare Giorgia Meloni e frenarne l’ascesa nei sondaggi. E quindi anche la conquista della leadership. Secondo l’ex sottosegretario alla Difesa, questa è l’unica spiegazione possibile ai continui rinvii sui candidati alle amministrative. “Vogliono boicottare Giorgia bocciando i suoi nomi”. Quel che è certo è che la scelta dei candidati del centrodestra per le prossime elezioni amministrative sta diventando una tragicommedia, specialmente nelle due principali città al voto, Roma e Milano. Con sconosciuti messi in piazza e poi ritirati, vecchie glorie ripescate che poi rifiutano, aspiranti disposti ma bloccati dai veti incrociati. Ogni vertice (ultimo quello di due giorni fa) sembra quello decisivo, tra un “ormai è fatta” e un “siamo in dirittura d’arrivo con nomi di ottimo livello”, salvo poi ritrovarsi senza nulla in mano e magari pure litigare. Com’è accaduto martedì con uno scontro assai aspro tra Antonio Tajani e Giancarlo Giorgetti. “Non parlavi con questa sicumera quando noi stavamo al 25% e voi al 4”, ha rinfacciato il primo al secondo.

A sentire esponenti vari del centrodestra nazionale e locale i problemi sono di due tipi. Uno più profondo e strutturale, quindi più difficilmente superabile: la mancanza di idee per le città e di una classe dirigente che le metta in pratica. Una colpa divisa tra Matteo Salvini e la sua politica facile a colpi di tweet, che non approfondisce mai nulla, e Silvio Berlusconi, che con la sua smania da imperatore supremo ha fatto tabula rasa di qualsiasi classe dirigente presentabile per il futuro. L’altro problema è il dualismo feroce tra Salvini e Giorgia Meloni, con il primo che vive nel terrore del sorpasso e quindi fa di tutto per azzoppare la sua competitor, e la leader Fdi che, da quando c’è il braccio di ferro sul Copasir, deve sforzarsi anche solo per parlare con “Matteo”. In questo, però, dimostrando una maturità politica superiore al leghista. La feroce rivalità tra i due, però, sta bloccando la partita nelle città.

L’impasse di Roma – A Roma, per esempio, dopo la tiritera infinita sul nome di Guido Bertolaso, il derby si è concentrato su due figure che gli osservatori considerano “deboli”. Lo speaker radiofonico Enrico Michetti (Matteo Salvini ha chiesto d’incontrarlo e lo vedrà venerdì), uscito dal cilindro meloniano, cui l’asse lega-forzista ha contrapposto l’avvocato Simonetta Matone, divenuta famosa come presenza fissa nel salotto televisivo di Bruno Vespa per commentare i delitti di nera. Due nomi considerati al ribasso, forse in attesa di un altro nome forte che sparigli i giochi e s’imponga col benestare di tutti. Nome che però non è alle viste. E dire che i voti da queste parti ci sarebbero: tutti i sondaggi danno il centrodestra molto alto, quasi da ballottaggio anche senza candidato. Insomma, al contrario di Milano, a Roma la coalizione può vincere. Anche per questo motivo, ormai nemmeno più sottotraccia, ci spera ancora Maurizio Gasparri, che da almeno un ventennio coltiva l’ambizione di fare il sindaco nella Capitale. Il suo problema, qui, però è la Meloni, che non lo vuole nemmeno dipinto. E anche dentro Forza Italia non tutti sono d’accordo: la sua è una figura considerata ormai vecchia e con rapporti in città che potrebbero anche far nascere polemiche come quelli con Giordano Tredicine. Insomma, la partita a Roma s’è ingarbugliata assai.

L’impossibile sfida di Milano – Nel capoluogo lombardo la situazione non è migliore e va in parallelo con la Capitale. Anche qui c’è stata una lunga trattativa poi sfociata nel nulla con l’ex sindaco Gabriele Albertini. E pure qui c’è un nome sottotraccia che spera: Maurizio Lupi, ciellino, ex forzista poi passato con Angelino Alfano e oggi rimasto nella galassia centrista. Candidato dai berluscones, Lupi è un nome noto con alle spalle un certo bacino di voti che potrebbe arrecare qualche fastidio a Beppe Sala. Perlomeno costringerebbe il sindaco a una campagna elettorale vera e non a una semplice passerella. Sul resto, dopo il tira e molla con Roberto Rasia dal Polo, l’unico nome di un certo peso rimasto è quello della presidente di Federfarma, Annarosa Racca. Tra le new entry, poi, il professore bocconiano Maurizio Dallocchio e l’ad di Mediolanum Oscar Di Montigny, genero di Ennio Doris. A Milano, così come a Roma, Salvini vuole solo candidati civici. E i maligni la spiegano così: “Il Capitano sa bene che qui la partita è persa in partenza. Così, per evitare figuracce, si è ben guardato di candidare un leghista, anche di peso, e insiste sul nome civico”.

Torino e Napoli ben messe, rebus a Bologna – L’unica città dove il centrodestra sembra aver trovato la quadra è Torino, con la possibile candidatura di Paolo Damilano, imprenditore vitivinicolo (guida con i suoi fratelli l’omonima cantina di vini Barolo) con qualche passaggio negli incarichi pubblici: è stato presidente del Museo Nazionale del Cinema di Torino e della Piemonte Film Commission. Nome scovato da Giancarlo Giorgetti, dopo qualche perplessità iniziale, ora sembra che stia bene a tutti. Un passo avanti è stato fatto anche a Napoli, dove il candidato potrebbe essere il magistrato Catello Maresca. Il nome l’ha trovato Salvini ma qui le perplessità degli alleati non sono mancate, a partire da Forza Italia. “Siamo sicuri che candidare un magistrato nella città dove già Luigi De Magistris ha fatto molti danni sia una buona idea?”, si sono chiesti i pasdaran locali del partito azzurro. Inoltre c’è un piccolo problema di opportunità, con il magistrato che si candida nello stesso territorio dove operava con la toga. Dove invece il centrodestra è ancora in alto mare è Bologna. Qui, tra indecisioni e rinvii, la coalizione sembra aspettare le primarie del centrosinistra (20 giugno). Tra i nomi che si fanno ci sono quelli dell’imprenditore cattolico Fabio Battistini, del patron delle edizioni Minerva Roberto Mugavero, e della consigliera regionale azzurra Valentina Castaldini. Il nome su cui il partito berlusconiano spinge di più, specie nell’area di Mara Carfagna, sembra però essere l’ex direttore del Qn Andrea Cangini, oggi senatore azzurro. Che però non suscita l’entusiasmo di Salvini e Meloni, con cui a volte è entrato in contrasto.

Articolo Precedente

Dalle scuse sbagliate di Di Maio ai referendum di Salvini&C: è il cortocircuito del falso garantismo

next