Evitare che la funivia si fermasse, in modo automatico, causando così un “disservizio” alle persone. È questa la ragione per la quale i tre fermati per il disastro del Mottarone, avvenuto domenica scorsa, avrebbero deciso di “bloccare il freno”, come scrive la Procura, causando la morte dei 14 viaggiatori. La conferma è arrivata dall’interrogatorio di Gabriele Tadini, responsabile del funzionamento dell’impianto. “La preoccupazione era il blocco della funivia. Stavamo studiando quale poteva essere la soluzione per risolvere il problema” al sistema frenante di sicurezza. È quel che ha detto la scorsa notte, secondo quanto appreso dall’Ansa, davanti alla procuratrice di Verbania, Olimpia Bossi, e alla pm Laura Carrera. Tadini, da quello che è stato riferito, ha riempito parecchie pagine di verbale.

Secondo la ricostruzione della Procura di Verbania, i freni d’emergenza dell’impianto erano stati disattivati attraverso i cosiddetti “forchettoni”. La decisione sarebbe stata presa per evitare i continui blocchi (automatici) della funivia, che dalla messa in moto dello scorso 26 aprile segnalava le anomalie che portavano allo stop dell’impianto. “Quella cabina aveva problemi da un mese o un mese e mezzo”, ha confermato Tadini, e per cercare di risolverli sono stati effettuati “almeno due interventi tecnici”. Il capo del servizio, dunque, ha ammesso davanti ai pm che la funivia presentava delle criticità; e che per evitare che si fermasse durante le salite e le discese tra Stresa e il Mottarone, si stava “cercando una soluzione”. Per la Procura non ci sono dubbi. I tre fermati, cioè Luigi Nerini, amministratore unico della società che gestisce l’impianto (Ferrovie Mottarone srl), Enrico Perocchio, direttore dell’esercizio e lo stesso Tadini, accusati di omicidio colposo plurimo in concorso tra loro, “omettevano di rimuovere i forchettoni rossi aventi la funzione di bloccare il freno” della cabinovia quindi “destinato a prevenire i disastri”, così “cagionando il disastro da cui derivava la morte delle persone”. Stando così le cose, dunque, con la scelta di disattivare il sistema frenante di sicurezza, le centinaia di persone che sono salite sulla funivia per godere di una gita in montagna hanno rischiato di fare la stessa fine delle 14 vittime di domenica scorsa.

Perocchio, tuttavia, ha negato di aver autorizzato l’utilizzo dei “forchettoni”. A dirlo all’Ansa è stato il suo legale, Andrea Da Prato: “Ha contezza di una simile pratica, e l’ha definita suicida“, ha detto l’avvocato. Nessun operatore di impianti a fune sarebbe così pazzo da montare su una cabina con le pinze inserite (e dunque col freno d’emergenza disattivato, ndr). Il mio cliente – ha aggiunto – ha sempre osteggiato tale pratica, che può essere attivata esclusivamente in fase di installazione e comunque solo con le cabine vuote”. Da Prato ha anche rivelato come il suo assistito abbia “respinto in radice le accuse” e abbia “sconfessato la deposizione” fatta da Tadini. Stando alle parole dell’avvocato, infatti, Perocchio avrebbe appreso della presenza dei forchettoni “da una brevissima e concitata telefonata fatta da Tadini domenica alle 12.09, nella quale Tadini ha detto: ‘Ho una fune a terra e ho i ceppi su’. A questo punto l’ingegnere capisce che parla delle pinze. Non ha neanche il tempo di rispondere che la telefonata finisce, sale in auto e si reca sul luogo dell’incidente”. Il difensore di Tadini, Marcello Perillo, ha fatto sapere di essere andato a trovarlo in carcere, raccontando che il suo assistito “ha risposto a tutte le domande, è sereno ed essendo un fervente cattolico sta cercando conforto nella fede”.

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