Nessun processo per Carola Rackete. La comandante della Sea Watch che speronò la motovedetta della Guardia di Finanza per entrare nel porto di Lampedusa con 42 migranti a bordo, dopo il blocco imposto dall’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini, aveva il “dovere di salvare delle vite”. Lo ha deciso la gip di Agrigento, Alessandra Vella, che ha accolto la richiesta della Procura.

In mattinata era stato il procuratore Luigi Patronaggio ad aver chiesto di non processare l’attivista 33enne che due anni fa occupò le prime pagine dei giornali per lo scontro a distanza con Salvini, mentre cercava di far sbarcare i naufraghi a bordo della sua nave, finendo in manette per resistenza o violenza contro una nave da guerra dopo la manovra che le consentì di entrare nel porto dell’isola siciliana. “Ci siamo adeguati alle indicazioni della Corte di Cassazione che aveva confermato l’annullamento dell’arresto – ha spiegato Patronaggio – Pur avendo qualche perplessità sul bilanciamento dei beni giuridici in gioco”.

Secondo la Procura, infatti, Rackete ha agito per stato di necessità, perché aveva il “dovere di portare i migranti in un porto sicuro” non potendo più garantire la sicurezza a bordo dopo 17 giorni di attesa al largo delle coste italiane. “Con l’archiviazione dell’inchiesta su Carola Rackete il gip di Agrigento ha riconosciuto il dovere di salvare vite umane – ha commentato Salvatore Tesoriero, legale della donna – La Procura all’esito dell’inchiesta ha svolto ulteriori indagini e ha valutato che effettivamente la causa dell’adempimento del dovere va rilevata e debba esserci. C’erano diverse avvisaglie che arrivavano anche dalla Corte di Cassazione. Ricordo ai tempi le disposizioni dell’ex ministro Salvini e rilevo oggi, a distanza di due anni, che Carola Rackete aveva agito per salvare vite umane in adempimento di un dovere. Questo è stato sostenuto dall’inizio”.

Esulta la portavoce di Sea Watch, Giorgia Linardi, che commenta affermando che “possiamo considerare ufficialmente chiusa la vicenda che ha visto Carola indagata per essere entrata in un dichiarato stato di necessità nel porto di Lampedusa nel giugno del 2019. È una conclusione logica e necessaria di una vicenda rispetto alla quale la Corte di Cassazione, responsabile per l’interpretazione dei diritti nel nostro Paese, si era già espressa sottolineando due importantissimi principi. Quello per cui soccorrere chiunque si trovi in pericolo in mare costituisce l’adempimento di un dovere e pertanto non può essere criminalizzato e il principio per cui la nave e che presta soccorso non può essere considerata un porto sicuro e il soccorso stesso si può considerare concluso solo nel momento in cui le persone giungono in un porto in salvo”.

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