“So che tutta questa faccenda innesca maggiore incertezza, me ne rammarico profondamente”. Le parole con cui la cancelliera Angela Merkel ha chiesto scusa “a tutti i cittadini” per aver rinnegato nel giro di 48 ore le restrizioni adottate per la Pasqua raccontano come la Germania si sia improvvisamente scoperta fragile nella lotta alla pandemia. Una fragilità ritenuta inconcepibile dalla stampa così come dall’opinione pubblica: solo l’autunno scorso si raccontava di un Paese che meglio di tutti aveva gestito la prima ondata del coronavirus e che meglio di tutti avrebbe ripreso a crescere economicamente. La seconda ondata invece ha messo a nudo tutte le carenze tedesche: una macchina burocratica obsoleta dal punto di vista informatico, come dimostrato dai ritardi nell’erogazione dei ristori, un’impotenza identica a quella del resto dell’Unione europea nella campagna di vaccinazione, un federalismo che porta a un processo decisionale caotico quando vi è la necessità di prendere provvedimenti rapidamente e a una situazione costantemente disomogenea tra i vari Länder, ultimo esempio la riapertura delle scuole. In questo contesto, oltre tre mesi di lockdown hanno fatto esplodere la frustrazione dei cittadini e del mondo economico. Anche perché, non appena si era cominciato a parlare di allentamento delle restrizioni, l’arrivo delle varianti ha stravolto i piani. Mentre le chiusure e i conseguenti ristori hanno mandato in soffitta la regola aurea del pareggio di bilancio: il debito complessivo previsto per il 2021 è di 240,2 miliardi di euro.

In Germania oggi sono stati accertati 15.813 nuovi casi di Covid, oltre a 248 morti. L’incidenza settimanale è salita ancora, a 108,1 casi positivi ogni 100mila abitanti. Non sono i numeri assoluti a preoccupare, quanto il trend delle ultime settimane. Da metà febbraio i contagi sono tornati a salire, da inizio marzo la crescita è diventata impennata e l’istituto Robert Koch ha parlato apertamente di terza ondata dovuta alle varianti. Per questo Angela Merkel ha deciso di prorogare il lockdown fino al prossimo 18 aprile, di fatto un sistema a zone: dove l’incidenza è sopra i 100 casi ogni 100mila abitanti, scatta il cosiddetto “freno d’emergenza“, con le restrizioni più dure. Sempre per lo stesso motivo, la cancelliera ha voluto introdurre un’ulteriore misura per Pasqua: istituire due giorni di riposo, “Ruhetage”, in aggiunta ai già previsti giorni festivi. Praticamente un modo per fermare tutto il Paese dal primo al 5 aprile, tanto che anche i negozi di alimentari avrebbero potuto aprire solo il sabato santo. Tecnicamente, però, si è rivelata una misuraimpraticabile“, come ha ammesso la stessa Merkel. La cancelliera quindi non ha rinnegato il lockdown, tanto meno il problema contagi. Anzi, ha sottolineato che il suo “errore” è stato fatto “per una buona ragione, cioè quella di frenare la terza ondata”. Ma ha scelto di fermare una polemica che avrebbe potuto lacerare definitivamente il Paese, rinunciando a una misura che di fatto riguarda solo due giorni.

“Senza piano, senza idee, senza coraggio”, “molta frustrazione“, “nessuna fantasia, stupido“, sono in sequenza i titoli con cui Bild, Suedduetsche Zeitung e Die Welt hanno massacrato il provvedimento della cancelliera. Testate diverse, due delle quali politicamente vicine alla Cdu della cancelliera. Ma le critiche della stampa proseguono ormai da mesi e hanno trovato il loro culmine nella copertina scelta dal settimanale Der Spiegel venerdì scorso, con un titolo eloquente: “La nuova incompetenza tedesca”. “Non parliamo di scandali e disavventure: la repubblica rivela una debolezza sistemica, la pazienza dei cittadini è al limite”, si legge sempre sulla copertina. La domanda che tutti i tedeschi si fanno e che ha portato all’insofferenza degli ultimi mesi è molto semplice: “Perché non riusciamo a tenere sotto controllo il coronavirus?”. Non ci è riuscito praticamente nessuno, ma per la Germania ci sono delle aggravanti.

Il lockdown va avanti da prima di Natale e non è bastato a riportare la curva dei casi a un livello sufficientemente basso. I posti letto in terapia intensiva sono in totale circa 26mila (dati del registro DIVI), ma nonostante questo c’è il rischio di una saturazione: attualmente ne sono rimasti liberi poco più di 4mila, circa il 16%. Le chiusure sono state un fallimento anche dal punto di vista economico: il governo mercoledì ha approvato la bozza della legge di bilancio che prevede nuovo debito nel 2022 per 81,5 miliardi di euro e un ulteriore aggravio per l’anno in corso di 60,4 miliardi. Anche per il prossimo anno sarà quindi sospesa la norma dello Schwarze Null, che prevede una soglia-limite per l’indebitamento dello Stato federale. Per il sostegno alle imprese, soprattutto nel settore alberghiero, sono stati previsti 25 miliardi aggiuntivi e si pianificano in tutto 65 miliardi di euro. Inoltre si tiene conto delle minori entrate fiscali dovute al protrarsi delle chiusure.

Il fallimento della strategia tedesca comincia a inizio dicembre, quando nel giro di pochi giorni il numero di decessi giornalieri schizza improvvisamente verso l’alto. Il lockdown “soft” varato da Merkel a novembre non ha funzionato, servono misure più drastiche: alla chiusura di bar e ristoranti si aggiungono quelle dei negozi e delle scuole. Il lockdown “duro” scatta il 16 dicembre e colpisce direttamente il Natale dei tedeschi. Dopo le vacanze, però, i contagi tornano a salire: le visite a parenti e amici sono state solo frenate, non vietate. Il 5 gennaio la Germania conta 1.222 morti. Quello delle visite e degli spostamenti è una delle falle nel lockdown tedesco, in cui all’interno delle città non sono mai stati previsti in linea generale limiti agli spostamenti. Ma a gennaio ci sono anche altri due fattori a contribuire in maniera decisiva al crollo dei consensi per la gestione della pandemia: i ristori e i vaccini.

Annunciando il primo e poi il secondo lockdown in autunno, il governo aveva anche promesso lauti ristori per le attività colpite dalle restrizioni. A metà gennaio uno studio dell’Institut der Deutschen Wirtschaft (Iw) ha mostrato però che le imprese tedesche avevano ricevuto appena l’8% dei fondi stanziati in autunno per gli aiuti-ponte. Ancora peggio è andata sul fronte dei ristori promessi per i mesi di novembre e dicembre: a gennaio a destinazione era arrivato solo il 4% del totale previsto. I motivi sono stati da una parte un pasticcio burocratico sulle condizioni di accesso, dall’altra una lentezza dovuta principalmente a carenze informatiche che la Germania si trascina da tempo e che in parte hanno condizionato anche la campagna di vaccinazione. Come in Italia, il principale problema sul fronte vaccini è stata però la carenza di dosi. Il governo non è stato considerato esente da responsabilità, anche perché a Bruxelles siede Ursula von der Leyen, che prima di fare la presidente della Commissione Ue era ministra della Difesa di Angela Merkel. I tedeschi si sarebbero aspettati una Germania capace di prendere le redini della situazione e garantirsi un numero sufficiente di fiale fin da subito. Senza dimenticare, solo pochi giorni fa, la sospensione precauzionale di AstraZeneca e i ritardi che ha causato.

L’altro grande problema della Germania nella lotta alla pandemia si è rivelato il federalismo. La cancelliera ha sempre dovuto trovare faticosi accordi con i Länder per imporre misure che fossero il più possibile omogenee a livello nazionale, pur tollerando sempre qualche differenza. A metà febbraio, con i contagi finalmente in calo, ha scelto il criterio dell’incidenza come faro di un piano di riaperture graduali, che procedessero per step e solo con un numero sempre più basso di nuovi casi. Dal 22 febbraio però vari Länder hanno cominciato a riaprire le scuole, man mano sempre di più, consentendo parallelamente anche altri allentamenti. Proprio in contemporanea con queste riaperture è cominciata la crescita dei positivi alle varianti del Covid, che hanno velocemente riportato l’incidenza sopra i livelli di guardia. Con i tedeschi che già sognavano una Pasqua con maggiori libertà, Merkel ha dovuto convincere i Länder a richiudere tutto. Le 12 ore di riunione fiume, necessarie per appianare le divisioni, hanno portato alla fine alla soluzione dei Ruhetage: di fatto, una misura difficilmente applicabile, pesante dal punto di vista economico e probabilmente anche poco proficua per limitare i contagi. Merkel ha deciso di fare marcia indietro, per placare le proteste e sperare in una maggiore collaborazione da parte dei governatori quando servirà prendere nuove decisioni.

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