“Dalla ricostruzione della vicenda quale emerge dalle copiose risultanze processuali, si deve ritenere senz’altro dimostrato che la sindaca Raggi sia stata sostanzialmente vittima di un raggiro ordito ai suoi danni dai fratelli Marra”. Lo scrivono i giudici d’appello di Roma nelle motivazioni con cui hanno confermato l’assoluzione, lo scorso 19 dicembre, per la sindaca, Virginia Raggi, per la vicenda nomine in Campidoglio e in particolare la designazione, poi ritirata, di Renato Marra come capo del Dipartimento Turismo del Campidoglio.

Nel documento i giudici scrivono che è “altresì del tutto ragionevole ed insuperabile il dubbio, prospettato in subordine dalla difesa, che al momento di redigere il documento trasmesso alla responsabile della prevenzione della corruzione e per la trasparenza, dottoresa Turchi, la quale a sua volta lo ha comunicato all’Anac, la Raggi avesse la effettiva coscienza e volontà di attestare il falso in un atto che, come si dirà’, e contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, non è contestabile che rivestisse le caratteristiche di un atto pubblico”. Ed è la stessa sindaca, in post su Facebook, a commentare: “Un semplice dato di fatto: non ho avuto alcun ruolo nell’abuso di ufficio ascritto a Raffaele Marra”. Rivolgendo poi un grazie a tutti coloro che l’hanno sostenuta. “Grazie, davvero grazie! Mi rivolgo a tutti coloro che nel corso di questi anni sono stati al mio fianco. Alle tante persone che mi hanno testimoniato la loro vicinanza durante un periodo complesso, come quello del processo, e che alla fine ci ha visti vittoriosi. Utilizzo il plurale perché è stata una vittoria di tutti. Per questo voglio condividere con voi nuovamente la gioia per la vittoria anche in appello: oggi ci sono state comunicate le motivazioni da parte dei giudici che il 19 dicembre ci hanno assolti per l’inchiesta sul caso Marra”.

I giudici scrivono inoltre che “la complessiva reazione dell’imputata alla scoperta del ‘salto’ stipendiale ottenuto da Renato Marra a questa Corte appare del tutto sincera e non scalfita dal fatto, logico, che la Raggi, per sapere cosa era successo, si sia rivolta a Raffaele Marra, ottenendo risposte piccate ed improntate a negare qualsiasi oscura manovra”. E ancora: “E’ chiaro che per la Raggi, Raffaele Marra era certamente più addentro di chiunque altro ai meccanismi di quel bando che egli stesso aveva contribuito a realizzare. Ed era persona di cui la Raggi, forse ingenuamente, si fidava molto contando quindi sulla fedele esecuzione da parte sua delle disposizioni impartitegli”. Per i giudici “è vero che non risulta nemmeno a tutt’oggi che la Raggi , sebbene prima indagata per falso ideologico e per concorso con Raffaele Marra in abuso di ufficio e poi rinviato a giudizio per il reato di falso, di cui qui si discute, sia mai stata per qualche motivo sanzionata in base al “codice di comportamento per i candidati ed eletti alle elezioni amministrative di Roma 2016” e al “codice etico del Movimento Cinque Stelle“, sicché il suo comportamento nella complessiva vicenda sembra essere stato improntato e valutato dal movimento politico di appartenenza, rispettoso delle regole alla cui osservanza era tenuta”. In conclusione “pur non condividendosi appieno tutte le argomentazioni del tribunale, questa corte ritiene che quanto all’integrazione del dolo del reato di falso ideologico contestato, le risultanze processuali non consentono di pervenire ad un convincimento, aldilà di ogni ragionevole dubbio, in senso favorevole alla tesi accusatoria”, scrivono i giudici di secondo grado.

I nuovi Re di Roma

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