di Francesco Giubileo e Francesco Pastore

Il mercato del lavoro italiano è visto spesso come un sistema fortemente “polarizzato”, a metà strada fra due mali opposti: da una parte, vi è un problema di mismatch di competenze, dove centinaia di migliaia di potenziali posti di lavoro non sarebbero colti per mancanza di candidati con adeguate competenze; dall’altra parte, esiste un “esercito” di sovra-istruiti in occupazioni impiegatizia e “sfruttati” in attività non qualificate, definite in gergo Bad Jobs. Può essere utile, sotto molti punti di vista, cercare di spiegare perché entrambe le visioni sono in parte corrette guardando ai diversi mercati del lavoro esistenti in Italia.

In primo luogo, va considerata la pubblica amministrazione (compreso il sistema scolastico) che, per definizione, non segue il regolare equilibrio del mercato del lavoro. Al suo interno esistono regole proprie di reclutamento, tipicamente i concorsi pubblici. Negli anni dei baby boomers, il lavoro nel settore pubblico era considerato dagli italiani un ripiego. Oggi, i lavori nel settore pubblico stanno tornando al primo posto per desiderabilità sociale, in quanto garantiscono continuità nel rapporto di lavoro in un periodo in cui il lavoro appare sempre più instabile, mal pagato e precario. I lavori nuovi, quelli che trovano i giovani nel settore privato sono, invece, a basso reddito, instabili e in alcuni casi non riconoscono le competenze acquisite dai giovani.

Un altro settore è quello che potremmo chiamare il settore del “Bel Paese”. Oggi, è fortemente in crisi per la pandemia, ma si spera che presto tornerà a svolgere il ruolo di sempre. Si tratta di un “ecosistema” di mansioni che arriva in alcuni periodi dell’anno a generare quasi 10milioni di addetti. Parliamo dei settori alberghiero/divertimento/ristorazione.

I “Bad-Jobs” ovvero quei lavori considerati “cattivi” in quanto presentano un’elevata discontinuità/precarietà e perché spesso rappresentano mansioni facilmente sostituibili, come ad esempio gli addetti alla logistica, il personale dedicato alla sicurezza, alla pulizia e i commessi nel settore del commercio al dettaglio. In questi settori, i rapporti di lavoro a termine raggiungono percentuali intorno all’ottanta percento e la presenza di cooperative e la logica del subappalto comportano stipendi molto bassi.

Il settore socio-sanitario pubblico e privato è in crescita ed è un settore di qualità. Mai come in questo momento, le figure di operatori socio-sanitari, infermieri, medici sono richieste dal mercato del lavoro. In verità, erano già professioni difficili da reperire prima del Covid. Adesso rischiano di essere introvabili, a causa della domanda crescente a fronte di un numero sempre chiuso di accesso ai relativi percorsi di formazione.

Altro settore in crescita è il settore ICT. Con la diffusione del lavoro a distanza, questo settore ha conosciuto un’impennata di richieste, ma, analogamente agli operatori del settore sanitario, anche quelli necessari a questo settore rischiano di essere introvabili.

Un discorso analogo si può fare per quelli che vengono chiamati i Green jobs che il Next generation fund dovrebbe far crescere in poco tempo in misura esponenziale. Già ora, come detto in un precedente editoriale, ci sono premi salariali importanti per i pochi che hanno acquisito una formazione nel settore. Le università dovrebbero riuscire in poco tempo a sviluppare percorsi di formazione per coprire la crescente domanda dei prossimi anni, altrimenti vi saranno buchi importanti in questi settori e premi salariali crescenti per i pochi che riusciranno ad entrarvi.

Altro settore è la Manifattura 4.0, specializzata nella digitalizzazione, nell’intelligenza artificiale, nella stampa 3D e così via. In questo caso, in Italia, la presenza di imprese di piccole e medie dimensioni che investano in innovazione sono purtroppo “castelli” nel deserto.

Questi sono solo alcuni dei mercati del lavoro paralleli presenti in Italia. Le medicine per ogni settore, a seconda dei sintomi e delle malattie, sono molto diverse. Purtroppo non esiste un vaccino che risolve tutti i problemi del mercato del lavoro.

Le medicine per il mercato del lavoro sono a volte da ricercare nel sistema d’istruzione e a volte nelle politiche del lavoro (attive, passive, servizi e regolazione), ma quali sono quelle che vanno bene? La verità è che non c’è una risposta chiara, ad esempio investire in capitale umano rappresenta un bene fondamentale che dovrebbe essere “coltivato” da tutta la forza lavoro (disoccupati, inattivi, dipendenti e autonomi) attraverso percorsi ITS, Apprendistato, Formazione continua e permanente. Tuttavia, soprattutto per certi settori e in alcuni contesti territoriali non è sufficiente, senza adeguati investimenti in infrastruttura che stimolino la domanda di lavoro a creare lavoro di qualità.

Ricordiamo che molti settori pagano purtroppo il “nanismo” imprenditoriale del nostro paese che rappresenta il 94% del totale. In Italia, le imprese con più di 500 dipendenti sono meno di 5000 e quasi tutte dislocate nel Nord Italia. Se la necessità di personale con adeguate competenze proviene da piccolissime imprese, queste saranno in grado di assorbire tale manodopera? E con quali salari (da giustificarne l’investimento in formazione)? In un paese con un serio problema demografico, il sistema produttivo sarà in grado di “trattenere” le nostre migliori risorse e non farle fuggire all’estero? Perché il paese non è meta di forza lavoro straniera altamente qualificata, ma solo di rifugiati economici, in buona parte da impiegare come braccianti agricoli, manovali non qualificati e badanti?

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