Chiusa la crisi di governo, il Parlamento dovrebbe recuperare il tempo perduto riprendendo, fra l’altro, l’esame della legge di iniziativa popolare sulla legalizzazione della eutanasia, presentata nel settembre del 2013 dalla Associazione Luca Coscioni: un esame iniziato alla Camera con una ennesima serie di “audizioni” sull’argomento e poi bloccato presso le Commissioni competenti. Non sarà certo un iter facile né veloce, per cui sarà necessario sostenere le ragioni del sì alla eutanasia in tutte le sedi possibili.

Personalmente ritengo utile tener conto – per il dibattito che ci sarà in Parlamento e sulla stampa – di quello che io ho imparato, giovane funzionario dell’Iri, da uno dei fondatori dell’Istituto e capo del suo prestigioso “Ufficio studi”, Pasquale Saraceno: l’importanza dei dati numerici per sostenere qualsiasi battaglia culturale o politica (Saraceno parlava della “nuda forza dei numeri”).

Provo a mettere in fila i “numeri” che possono tornare utili a chi voglia sostenere la causa della eutanasia.

1) Gli italiani sono a favore della eutanasia. Il dato più rilevante è quello del rapporto Eurispes: sono a favore il 75% degli italiani. Questo atteggiamento positivo è comune anche a gran parte dei cittadini delle regioni di più forte tradizione cattolica e di orientamento leghista, come dimostra ogni anno l’indagine del quotidiano di Venezia, “Il Gazzettino”, sugli orientamenti politici del Nord-Est.

2) Prendendo come riferimento i dati sulla popolazione dell’Olanda e del Belgio (totale, 27 milioni) e i casi di eutanasia che si registrano annualmente nei due paesi (totale 9.500) e ipotizzando che negli italiani vi sia una propensione alla eutanasia comparabile, si potrebbero prevedere circa 19mila casi di eutanasia all’anno, a fronte di una media annua di 650mila decessi (vale a dire 3,8% di eutanasie sul totale delle morti).

3) Fino a pochi anni fa ospedali e cliniche praticavano l’eutanasia senza dichiararlo e senza che l’opinione pubblica ne fosse informata. D’accordo con i familiari dei malati che soffrivano ma non avevano alcuna speranza di guarigione, molti medici sospendevano le terapie ed acceleravano la morte con una dose massiccia di morfina. Ebbi modo di verificare questo fatto con un mio amico malato terminale di cancro, al quale i medici avevano sospeso le terapie che lo tenevano faticosamente in vita. Un giorno la moglie mi chiamò e mi disse: “Se vuoi vedere per un’ultima volta il tuo amico vieni oggi perché domattina sarà finita”. Dunque, erano stati fissati giorno e ora in cui accelerare la morte del malato.

Del resto, che questo comportamento fosse assai frequente fu confermato da una ricerca dell’Istituto Mario Negri del 2007, in cui si diceva che veniva seguito ogni anno in circa 20mila casi. Su questi dati organizzai una vera campagna di stampa denunciando la pratica della “eutanasia clandestina”, che ebbe notevole risalto. Tanto da provocare una reazione del professor Silvio Garattini, presidente dell’Istituto, il quale sostenne che non si trattava di eutanasia ma di “desistenza terapeutica” per malati senza speranza di guarigione. Ma dopo qualche anno il professor Mario Sabatelli, primario dell’ospedale cattolico Gemelli, fece una dichiarazione clamorosa: “Li seguiamo nel cammino, sino all’ultimo. Perché io non li lascio andare, non li lascio morire. Li accompagno sino alla fine. Mi assicuro che venga seguita la loro volontà e non soffrano”.

Li addormenta e toglie il respiratore? “Sì, l’abbiamo fatto a pazienti che, stanchi di vivere immobili, attaccati alle macchine, hanno detto basta. Sono stati sedati profondamente, e solo a quel punto è stata spenta la macchina che soffiava aria nei polmoni. Sono morti senza dolore, dormendo”. Dunque, almeno questa sembra ormai una prassi accettata da tutti. E un motivo in più per non fare “di nascosto” quel che dovrebbe avvenire in piena legalità.

4) Altra conseguenza drammatica della illiceità della eutanasia è il numero di malati terminali (o di anziani al culmine della depressione) che sceglie nel suicidio la propria “uscita di sicurezza”. Dopo il suicidio di mio fratello Michele, malato terminale di leucemia, nel marzo del 2014, feci una ricerca e “scoprii” che ogni anno l’Istat pubblicava una tabella dei suicidi in Italia. Trassi da questa fonte il dato (1.000 suicidi di malati l’anno) su cui riuscii ad attirare l’attenzione di molti politici e giornalisti, costruendo una vera “campagna” di informazione con l’aiuto di giornalisti autorevoli come Corrado Augias, che arrivò a rivelare di essere stato in Olanda per comprare un kit per l’eutanasia.

L’Istat – dopo aver difeso per qualche tempo la propria autonomia dai politici contrari alla eutanasia -, finì con il cedere: prima abolendo del tutto, per alcuni anni, la “tabella suicidi”, poi – anche a seguito delle proteste di cui mi feci promotore – cambiando la fonte dei dati (da quella giudiziaria a quella medico/ospedaliera). Grazie a questo mutamento di fonte, i circa 1.000 suicidi di malati sono diventati circa 700, che è pur sempre un dato doloroso, poiché ci dice che con l’eutanasia si potrebbero “risparmiare” un paio di suicidi al giorno.

5) I firmatari del ddl popolare sulla Eutanasia presentato dall’Associazione Luca Coscioni nel settembre del 2013: 76mila cittadini elettori, raddoppiati da allora ad oggi.

6) Il numero di parlamentari – 124 – di diversi orientamenti politici, che hanno aderito fino ad oggi all’“Intergruppo Eutanasia”. L’impegno dell’Intergruppo, fra l’altro, ha favorito l’approvazione, nel dicembre del 2017, della legge sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento (Dat) o “testamento biologico”.

7) Le tantissime telefonate che giungono ogni giorno all’Associazione Luca Coscioni per avere notizie sulle modalità per compilare il “testamento biologico” e anche per sapere quel che è necessario per andare in Svizzera per ottenere l’eutanasia: dal 2015 ad oggi oltre tremila persone hanno contattato l’associazione e 1.030 di loro si sono palesate lasciando almeno un proprio recapito (telefono o email), mentre le altre hanno preferito conservare l’anonimato. Le richieste aumentano ogni anno.

Ricordo le sentenze che hanno segnato i risultati più importanti nella nostra battaglia per l’eutanasia: le due sentenze di assoluzione (per Marco Cappato nel caso del DJ Fabo e per Welby e Cappato nel caso Trentini) e la sentenza della Corte Costituzionale, che ha rimesso profondamente in discussione l’articolo 580 del Codice Penale clerico fascista del 1930 – in cui sono previsti fino a dodici anni di carcere per l’aiuto al suicidio – e ha posto le basi per un suo superamento o una sua radicale modifica.

L’eutanasia, infine, era già legale in Belgio, Olanda, Lussemburgo, Canada e Colombia (grazie a una sentenza giudiziaria) e in diversi Stati degli Usa. In Nuova Zelanda sarà così dal prossimo novembre. Di recente é divenuta legale in Irlanda e – in questi giorni – in Spagna, due paesi cattolicissimi. Aperture significative in Francia (la “Loi Leonetti” é un passo importante verso l’eutanasia) e in Inghilterra, dove i giudici non danno seguito alle denunce contro i numerosi cittadini che vanno cercare la “morte degna” in Svizzera.

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