Lo scorso 27 luglio i giudici della Corte di Assise di Massa avevano assolto Marco Cappato e Mina Welby per l’aiuto fornito a Davide Trentini – perché “il fatto non sussiste, (in relazione alla condotta di rafforzamento del proposito di suicidio, ndr) e perché il fatto non costituisce reato (per quanto riguarda la condotta di agevolazione dell’esecuzione del suicidio, ndr)”. In seguito alla sentenza della Corte Costituzionale sul caso Cappato-Antoniani nel 2019, era stato riconosciuto in Italia il diritto al suicidio medicalmente assistito attraverso il Sistema sanitario nazionale alle persone pienamente capaci di intendere e volere, affette da patologia irreversibile fonte di gravissime sofferenze e dipendenti da trattamenti sanitari salvavita. Ora, però, la Procura di Massa ha fatto ricorso in appello sul caso Trentini. “Saremo di nuovo processati – ha detto in un video Cappato – ma ricordo che i giudici della Corte Costituzionale mi hanno già assolto per la vicenda di dj Fabo. La cosa che manca, in tutta questa storia, è il ruolo del Parlamento. Da oltre sette anni abbiamo depositato una legge di iniziativa popolare sull’eutanasia legale. Non l’hanno discussa neanche un minuto”. Al processo il pm Marco Mansi aveva chiesto per Welby e Cappato 3 anni e 4 mesi di reclusione, una condanna al minimo di legge e riconoscendo tutte le attenuanti, aveva spiegato in aula. “Il reato di aiuto al suicidio sussiste, ma credo ai loro nobili intenti. È stato compiuto un atto nell’interesse di Davide Trentini, a cui mancano i presupposti che lo rendano lecito”.

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