Una “grande mole di lavoro” da “approfondire” e “completare“, integrando la bozza messa a punto a gennaio e già inviata alla Commissione con “gli obiettivi strategici e le riforme che li accompagnano”. No, il Recovery plan del governo Conte 2 non è tutto da riscrivere come molti sostengono da settimane. Con le parole pronunciate ieri in Senato, il neo premier Mario Draghi ha sgombrato il campo dalle prese di posizione di chi – nel mondo politico e dalle pagine dei grandi giornali – si diceva certo che il piano per la spesa dei fondi europei sarebbe stato stracciato e ripensato da zero. Ipotesi campata in aria per molti motivi: il principale è che l’impianto del documento, cioè la ripartizione delle risorse tra progetti con almeno il 37% dedicato alla transizione ecologica e il 20% al digitale, è quello prescritto a tutti i Paesi da Bruxelles. E lo stesso esecutivo Ue una settimana fa ha messo nero su bianco che l’impostazione è corretta, quel che manca sono i dettagli di riforme e investimenti chiave.

Matteo Renzi, che sul pretesto del Recovery e della sua governance ha aperto la crisi di governo, ha sempre sostenuto che anche la seconda versione rivista sulla base delle richieste di Italia viva andava ripensata. Mentre il leader leghista Matteo Salvini il 27 gennaio sosteneva addirittura che la bozza inviata alla Ue era stata già bocciata.

Il 4 febbraio, dopo la notizia della convocazione di Draghi al Colle per l’incarico, Renzi intervistato da Repubblica ha ribadito che quello era il punto cruciale: “A chi mi domanda perché la crisi rispondo semplice: se dobbiamo spendere 200 miliardi di euro preferisco li spenda Draghi che Conte. Una buona squadra scrive il Recovery in tre giorni. Quello che è importante è evitare di spendere i soldi in micro-mance“. Ma di mance nel piano non ce ne sono, tanto che il nuovo premier ha spiegato che gli interventi – oltre alla necessaria indicazione di obiettivi, milestone e riforme – si limiteranno al rafforzamento di alcuni obiettivi (produzione di energia da fonti rinnovabili, rete ferroviaria veloce, idrogeno, digitalizzazione, banda larga, 5G).

La versione di Renzi è stata sostenuta anche da gran parte del centrodestra, con i forzisti Mariastella Gelmini e Giorgio Mulè che in più occasioni hanno dato per scontata la necessità di ricominciare il lavoro dall’inizio. E corroborata da Carlo Bonomi, numero uno di Confindustria, che sempre il 4 febbraio sulla Stampa assicurava: “Il documento per il Recovery era completamente da riscrivere. Non si capiva chi dovesse gestire i fondi. E non c’erano obiettivi precisi su riforme essenziali”.

Il giorno dopo, 5 febbraio, Il Sole 24 Ore – che già il 21 gennaio aveva chiarito la propria posizione con un editoriale in cui la proposta del Conte 2 era definita “del tutto inadeguata” – faceva un passo in più. Attribuendo l’intenzione allo stesso Draghi, in quel momento presidente del Consiglio incaricato. Il titolo è: “Draghi: riscriverò il Recovery plan“. Ma nell’articolo che dava conto delle consultazioni il virgolettato non c’era. Anzi, si sottolineava che “l’ex presidente della Bce è attento nell’uso delle parole”. Ma, annotava il quotidiano di Confindustria, “la sostanza è chiara: il Piano va riscritto puntando sulla crescita «per convertire la depressione di quest’ anno e mezzo, anche delle persone, in vitalità»”.

Il 7 febbraio Repubblica intervistava Lorenzo Bini Smaghi, “economista, central banker, tra i più brillanti della nidiata dei Draghi Boys”. Il titolo? “Riscrivere il piano per la ripresa sarà la priorità del governo”. L’intervistato però non lo diceva. Di fronte alla considerazione del giornalista che “il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, durante il suo intervento al Forex ha accennato ad una agenda per Draghi: una sorta di riscrittura del Recovery Plan e riforme strutturali”, si limitava a dire: “Sono sicuramente le priorità per i prossimi mesi”. La “riscrittura”, comunque, è stata data per scontata dal quotidiano del gruppo Gedi anche il 14 febbraio, nell’articolo sulla scelta di Draghi di affidare i ministeri chiave ai “tecnici” Daniele Franco, Vittorio Colao e Roberto Cingolani.

Il 15 febbraio è stato il turno del Corriere della Sera, secondo cui i primi impegni del neo ministro dell’economia Franco sarebbero stati “ristori, cartelle esattoriali e Recovery plan (da riscrivere)”. Intanto su Repubblica l’imprenditore Alberto Bombassei si diceva convinto: “Draghi, il più autorevole italiano fuori dai nostri confini, riscriverà il Recovery Plan inserendo progetti realizzabili e finanziabili”.

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