Definirle scelte obbligate forse è un eccesso. Ma di sicuro il margine di manovra del governo nel preparare la bozza del Piano nazionale per la ripresa e resilienza era molto limitato. Le polemiche politiche di queste ore – Matteo Renzi nel suo discorso al Senato si è chiesto “chi abbia deciso” dove mettere le risorse – non tengono conto del fatto che tutti i Recovery plan devono rispettare i rigidi paletti fissati dalla Commissione europea. Regole necessarie per assicurare che i 750 miliardi del Next generation Eu raggiungano gli obiettivi stabiliti da Bruxelles, a partire da lotta al cambiamento climatico e transizione digitale, a cui va destinata una quota ben precisa di fondi. Non solo: ogni Paese è anche tenuto a proporre misure con cui “affrontare efficacemente” i punti deboli rilevati dal Consiglio nelle sue raccomandazioni specifiche pubblicate ogni anno. Per l’Italia la lista è lunga: dalla lentezza della giustizia civile alla bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro, passando per i risultati scolastici “tra i peggiori dell’Ue” e l’insufficiente offerta di asili nido. Tutti problemi a cui (cercare di) rimediare con il Piano. Risultato: la quasi totalità dell’ossatura della bozza era “già scritta” o quasi. Fuori dalle maglie restano solo i circa 13 miliardi dell’iniziativa React Eu, che il governo punta a usare per il taglio dei contributi per i lavoratori del Sud.

44 pagine di linee guida fissano i paletti – Le linee guida dello staff della Commissione sono state pubblicate lo scorso 17 settembre: 44 pagine ricche di esempi di “tipiche riforme e investimenti” ritenuti adeguati ai fini della transizione verde e delle altre priorità dell’esecutivo guidato da Ursula von der Leyen, che è stata tra i grandi sponsor del fondo straordinario per la ripresa post Covid finanziato – per la prima volta nella storia – con l’emissione di bond europei per centinaia di miliardi. “Gli Stati hanno bisogno di una guida chiara per assicurare che i 672 miliardi della Recovery facility (il “cuore” del Next generation Eu, ndr) siano investiti sia per la ripresa immediata sia per una crescita sostenibile e inclusiva di lungo termine“, ha spiegato la presidente durante la presentazione del documento. E il punto è proprio questo: quelli che arriveranno all’Italia, primo beneficiario del piano, non sono fondi “svincolati” e da usare a piacimento per i settori scelti dal governo. Servono per costruire l’Europa del post pandemia secondo un progetto di ampio respiro messo a punto a Bruxelles.

Quattro obiettivi: dalla coesione alla transizione digitale e green – Dopo aver ricordato che i Piani nazionali vanno presentati entro il 30 aprile 2021 e discussi informalmente “appena possibile” con la task force europea – l’Italia ha iniziato a farlo a metà ottobre – le linee guida entrano nello specifico. Mettendo nero su bianco i quattro obiettivi generali che gli Stati membri devono tenere presenti, indicando come il loro piano contribuirà a raggiungerli: al primo posto c’è la promozione della coesione economica, sociale e territoriale dell’Unione, seguita dal rafforzamento della resilienza economica e sociale, dalla mitigazione dell’impatto sociale ed economico della crisi e dal supporto alla transizione verde e digitale. A prima vista le descrizioni sono vaghe, ma è solo l’inizio. Perché il punto 4, sulla base di quanto deciso da Commissione e Consiglio nei mesi scorsi, ricorda che almeno il 37% delle risorse va speso per progetti “verdi”: per l’Italia significa almeno 72,5 miliardi. In più è richiesto “un livello minimo del 20% di spesa legato al digitale“: fanno altri 39 miliardi e passa. La bozza italiana rispetta l’indicazione e va un po’ oltre, visto che alla transizione green vanno stando alle tabelle 80 miliardi pari al 40,8% dei 196 miliardi che sono la cifra complessiva degli stanziamenti della Rrf per l’Italia (stima ancora provvisoria), mentre al digitale ne vengono assegnati 45 (23%). E così il 64% del totale è già assegnato.

La tabella con la ripartizione dei fondi contenuta nella bozza del Recovery plan italiano

Le sette iniziative chiave a cui contribuire – Ma il “foglietto di istruzioni” di Bruxelles è solo all’inizio. Subito dopo i Paesi vengono “invitati a fornire informazioni su quali componenti del loro Recovery plan contribuiranno alle sette iniziative” definite “fiori all’occhiello europei”, che fanno parte della strategia annuale per la crescita sostenibile: si tratta di piani per l’accelerazione nell’uso delle energie rinnovabili, la riqualificazione degli edifici, la promozione di tecnologie per la mobilità pulita, la diffusione di banda larga e 5G, la digitalizzazione della pubblica amministrazione, lo sviluppo di processori più efficienti insieme al raddoppio della percentuale di aziende che usano big data e servizi cloud avanzati, l’aumento delle competenze digitali e della formazione sul lavoro. Di qui la necessità di un’infornata di progetti in queste aree.

Gli investimenti in infrastrutture? Solo se realizzabili entro il 2026 – Quanto agli investimenti in infrastrutture, è lo stesso manuale europeo a specificare che il loro orizzonte temporale deve essere coerente con quello del piano europeo, che si esaurirà nel 2026: dunque “gli Stati dovrebbero evitare investimenti la cui implementazione non può essere assicurata nell’arco di vita della Facility ed essere cauti nel considerare investimenti che richiederebbero impegni fiscali permanenti che richiederebbero economie di bilancio nei budget nazionali”. Cosa che spiega la scelta di concentrarsi sul rafforzamento e l’estensione di alcune tratte ferroviarie e la realizzazione dell’alta velocità al sud – che già sarà una sfida – e non aggiungere nel calderone altre grandi opere inventate ex novo. Gli investimenti già decisi saranno finanziati con i prestiti, riducendo così la necessità di indebitarsi ulteriormente sul mercato, mentre le sovvenzioni a fondo perduto andranno a coprire le spese addizionali.

Le raccomandazioni Paese da seguire – Il quadro si completa con la richiesta che il Recovery plan affronti anche le sfide identificate delle raccomandazioni Paese che Bruxelles invia tutti gli anni. Le linee guida ne ricordano alcune che ritengono valide per tutti, tra cui le riforme per migliorare il cosiddetto “business environment” – la facilità di fare impresa – e garantire l’efficacia della pubblica amministrazione. Aggiungendo le richieste specifiche fatte all’Italia, che nel 2019 e 2020 hanno riguardato tra il resto il coinvolgimento di giovani e donne nel mercato del lavoro, gli investimenti per migliorare i risultati scolastici, il rafforzamento delle competenze digitali e la riduzione della durata dei processi civili, il menù è completo.

Poche indicazioni sulla sanità – La bozza italiana recepisce tutte le indicazioni ed è peraltro modellata sulle linee guida italiane scritte dal Comitato interministeriale affari europei, approvate in cdm e discusse in Parlamento a ottobre. Per quanto riguarda uno degli aspetti più discussi, gli “scarsi” fondi alla sanità, va detto che quel comparto non è tra i punti principali del documento della Commissione visto che i Paesi, sulla carta, possono finanziarlo anche con le risorse del Mes. Le linee guida si limitano dunque a consigliare che scuole e ospedali siano in cima alla lista degli edifici pubblici da riqualificare e modernizzare – e il Recovery italiano lo prevede – e come esempi di interventi per affrontare le vulnerabilità dei sistemi sanitari cita il “miglioramento dell’accessibilità” e il rafforzamento dell’assistenza di lungo termine. Il piano italiano, partendo dalle criticità emerse durante la pandemia, punta su assistenza territoriale e digitalizzazione, capitolo che comprende la telemedicina per l’assistenza domiciliare ai pazienti anziani ma anche l’ampliamento dell’accesso dei laureati in medicina alle specializzazioni che sono risultate più scoperte, a partire da anestesia e terapia intensiva.

Obiettivi, tempi e risultati – Il piano vero e proprio, comunque, è ancora da scrivere: sarà molto più dettagliato e, stando allo schema proposto dalla Commissione, dovrà comprendere per ogni progetto specifici obiettivi descritti con numeri e dati, tappe da raggiungere strada facendo, risultati attesi in termini di impatto su quel settore. Ogni voce dovrà essere accompagnata dalla spiegazione di cosa, come, entro quando si punta a realizzare, chi è responsabile di farlo, perché è importante per il sistema Paese. La precisione e la chiarezza saranno cruciali, visto che è sulla base dell’effettivo raggiungimento di ogni target nei tempi previsti che la Commissione darà man mano il via libera al versamento dei fondi richiesti.

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