Qualche conferma e due notizie. Mario Draghi, nel discorso al Senato per la fiducia, ha innanzitutto confermato che il nuovo governo non partirà ovviamente da zero nella scrittura del Recovery plan atteso dalla Ue (giovedì il regolamento europeo sarà in Gazzetta ufficiale e da venerdì si potranno ufficialmente inviare i piani nazionali). Poi, tra le righe e senza enfatizzarlo troppo, ha fatto due annunci: il nuovo governo potrebbe decidere di non chiedere tutti i 127 miliardi di prestiti disponibili per il nostro Paese a valere sul fondo europeo per la ripresa ma privilegiare almeno all’inizio gli oltre 80 miliardi di finanziamenti a fondo perduto. E poi rivedere la distribuzione tra fondi che andranno a progetti “aggiuntivi” – che dunque aumentano il debito rispetto alle previsioni – e prestiti Ue con cui invece ci si limiterà a sostituire indebitamento già previsto e che senza il Recovery avremmo chiesto al mercato. E la partita della governance è finalmente chiusa: a gestirla sarà il ministero dell’Economia, “con la strettissima collaborazione dei ministeri competenti che definiscono le politiche e i progetti di settore”.

“Il precedente governo ha già svolto una grande mole di lavoro”, ha esordiato il premier nella parte del discorso dedicata al Recovery. “Dobbiamo approfondire e completare quel lavoro che, includendo le necessarie interlocuzioni con la Commissione, avrebbe una scadenza molto ravvicinata, la fine di aprile”. In particolare “le missioni potranno essere rimodulate e riaccorpate, ma resteranno quelle enunciate nei precedenti documenti del governo uscente, ovvero l’innovazione, la digitalizzazione, la competitività e la cultura; la transizione ecologica; le infrastrutture per la mobilità sostenibile; la formazione e la ricerca; l’equità sociale, di genere, generazionale e territoriale; la salute e la relativa filiera produttiva”.

Il lavoro che resta da fare è dunque “rafforzare il Programma prima di tutto per quanto riguarda gli obiettivi strategici e le riforme che li accompagnano”, come nelle ultime settimane avevano spiegato molti osservatori. E “nelle prossime settimane rafforzeremo la dimensione strategica del Programma, in particolare con riguardo agli obiettivi riguardanti la produzione di energia da fonti rinnovabili, l’inquinamento dell’aria e delle acque, la rete ferroviaria veloce, le reti di distribuzione dell’energia per i veicoli a propulsione elettrica, la produzione e distribuzione di idrogeno, la digitalizzazione, la banda larga e le reti di comunicazione 5G”. La strategia di fondo dei progetti “non può che essere trasversale e sinergica, basata sul principio dei co-benefici, cioè con la capacità di impattare simultaneamente più settori, in maniera coordinata. Dovremo imparare a prevenire piuttosto che a riparare, non solo dispiegando tutte le tecnologie a nostra disposizione ma anche investendo sulla consapevolezza delle nuove generazioni che ‘ogni azione ha una conseguenza’”.

Poi la notizia, tra le righe: “La quota di prestiti aggiuntivi che richiederemo tramite la principale componente del programma, lo Strumento per la ripresa e resilienza, dovrà essere modulata in base agli obiettivi di finanza pubblica“. Dunque, nonostante il premier abbia ricordato che grazie al Next generation Eu “avremo a disposizione circa 210 miliardi lungo un periodo di sei anni”, la frase fa pensare che si stia valutando se seguire l’esempio della Spagna – il cui debito/pil è peraltro inferiore al 100%, ben lontano dal 158% toccato a fine 2020 da quello italiano – e chiedere per ora solo i finanziamenti a fondo perduto. La seconda notizia è che sulla governance del Recovery plan, uno degli aspetti più contestati da Matteo Renzi ai tempi delle prime bozze del governo Conte, una decisione è stata presa: se ne occuperà il Ministero dell’Economia guidato da Daniele Franco, fedelissimo di Draghi fin dai tempi di Bankitalia, in collaborazione con i ministeri competenti sui singoli progetti.

Ora il governo appena insediato deve accelerare sull’integrazione del piano: la presidenza di turno della Ue, portoghese, spinge perché i Recovery plan nazionali siano approvati entro aprile, nonostante la Commissione abbia in programma di emettere solo a giugno i primi bond per finanziare l’anticipo del Recovery. Peraltro prima che l’esecutivo Ue possa andare sui mercati a reperire le risorse del Recovery dovranno essere completate le ratifiche nazionali del Next Generation EU, necessarie perché i parlamenti devono dare il loro via libera all’indebitamento comune. Finora soltanto otto Paesi hanno ratificato l’accordo, tra cui l’Italia dove però il recepimento della decisione sulle risorse proprie è nel Milleproroghe ancora in fase di conversione. Dopo la presentazione dei piani la Commissione ha due mesi di tempo per approvarli, e il Consiglio un mese. Così si arriva a giugno, quando la Commissione potrà emettere i titoli per reperire risorse sufficienti a coprire il 13% di pre-finanziamento del Recovery.

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