Gli arbitri italiani cambiano. Via Marcello Nicchi, padre padrone dell’Associazione Italiana Arbitri dal 2009, sfiduciato nelle urne dopo tre mandati consecutivi, battuto nonostante avesse fatto di tutto (in passato anche cambiare le regole) per guadagnarsi l’ennesima rielezione. Ma i tifosi, e soprattutto il movimento, erano stanchi della sua gestione autoritaria, della classe arbitrale diventata casta, dei fischietti non giudici imparziali al servizio del gioco ma quasi divinità imperscrutabili, che fanno il bello e il cattivo tempo. Un po’ come il loro capo. Così dopo 12 anni di regno incontrastato l’era Nicchi è finita: il nuovo n. 1 dell’Aia è Alfredo Trentalange. Per capire cosa vuol dire l’elezione del nuovo presidente dell’Aia, bisogna spiegare chi è stato Marcello Nicchi. Eletto al secondo tentativo nel 2009, ha raccolto l’Aia che ancora non si era ripresa dallo scandalo Calciopoli e l’ha trasformata in un fortino inespugnabile, refrattario ad ogni tipo di critica, riforma, cambiamento. Nicchi è stato uno dei più fermi oppositori del Var (“la moviola in campo è la morte del calcio”, diceva), salvo poi una volta introdotta diventarne il supervisore federale. Retribuito dalla Federazione. Mentre si faceva tutto il possibile per ridurre l’utilizzo della tecnologia, come fosse un nemico e non un aiuto nella logica dell’arbitro che non sbaglia mai.

Nicchi è stato soprattutto il capo dell’Aia raccontata e svelata da Gavillucci, l’arbitro fatto fuori dal sistema senza un perché, attraverso una classifica segreta e insindacabile, fatta di valutazioni poco trasparenti, dove si viene giudicati senza appello, e alla fine puniti o graziati. Così è stata gestita l’Aia, che nell’ultimo decennio è diventata sempre più “casta”, con gli arbitri di Serie A che possono arrivare a guadagnare tanti soldi, anche 120-150mila euro a stagione, mentre nelle categorie inferiori si prendono botte e pochi spiccioli, nemmeno 50 euro a gara fra i dilettanti (questo non certo per colpa di Nicchi), e in tempi di Covid persino senza tamponi come rivelato negli scorsi mesi dal Fatto Quotidiano (questo sì, per scelta della Figc e dell’Aia).

Per tutto questo insieme di cose Nicchi non è stato rieletto. Trentalange, 57 anni, ex arbitro internazionale con 197 presenze in Serie A, l’ha battuto nettamente (193 voti a 125), a dimostrazione di un malcontento diffuso. Lui non è propriamente il nuovo che avanza, visto che proprio Nicchi l’aveva scelto nel 2009 come responsabile del settore tecnico. Era uno dei suoi fedelissimi, ma oggi incarna “la discontinuità”, o almeno così si presenta lui e sperano gli altri. In che cosa dovrà consistere questa discontinuità è presto detto. Più trasparenza e democrazia interna, nella gestione dell’Associazione e delle carriere degli arbitri. Più dialogo, con giocatori, società, tifosi: in fondo il mondo del pallone non chiede arbitri perfetti ma semmai più umani, che spieghino le loro scelte e eventualmente ammettano gli errori. Proprio questa potrebbe essere una delle prime novità: una finestra al termine della giornata in cui l’Aia commenterà gli episodi principali (l’aveva annunciato proprio Nicchi a dicembre, in piena campagna elettorale, fuori tempo massimo).

Potrebbe avere un impatto anche sulla politica del pallone. Nel perfetto spirito dell’arbitro giudice supremo invece che imparziale, Nicchi ha lottato per mantenere il diritto di voto che il Coni aveva provato a togliere all’Aia (una delle poche cose buone tentate dal commissariamento). Un 2% piccolo ma pesante, che Nicchi in passato aveva anche utilizzato per decidere le elezioni presidenziali del 2016, facendo pendere la bilancia dalla parte di Tavecchio e contro Abodi, la notte prima delle urne. A questo giro, l’Aia con Nicchi probabilmente avrebbe votato per il presidente uscente Gabriele Gravina. Ora con Trentalange potrebbe scegliere la via della neutralità nella sfida tra lui e Cosimo Sibilia. E lo stesso in consiglio federale, dove si pronuncerebbe solo sui provvedimenti che la riguardano. Il primo passo di un nuovo modo di concepire la categoria. Gli arbitri italiani hanno deciso di cambiare. Adesso dovranno cambiare per davvero.

Twitter: @lVendemiale

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