di Vincenzo Reale

Era l’homo novus di cui l’Italia aveva bisogno, ma che forse non meritava. Ha governato con quell’etica della responsabilità e quell’onestà che mancavano da tempo alla politica italiana, dando una lezione magistrale all’intero emiciclo parlamentare. Lui ha affrontato la pandemia, lui si è fatto valere in Europa e si è battuto per il Recovery Fund. Doveva essere lui a concludere la legislatura, a terminare il lavoro. Ma, si sa, questa politica è una giostra, un carosello con tanti pagliacci e mitomani in cui non c’è posto per Giuseppe Conte. È una politica calcistica, che fa sostituzioni per accontentare la panchina.

L’altra sera c’era una sola luce accesa, tra le finestre di Palazzo Chigi. Era l’ufficio del Presidente, forse intento a raccogliere le sue cose riflettendo su quanto aveva fatto e quanto si era impegnato per questo paese nel momento più buio della Repubblica, su quanto avrebbe potuto ancora fare e su come dei subdoli giochi di palazzo possono imporsi sulla buona volontà di un uomo.

Sono nato nell’anno della discesa in campo di Berlusconi e sono cresciuto negli anni della personalizzazione della politica. Se da un lato non mi sorprende che il governo più lungo nella storia della Repubblica sia stato il Berlusconi II, dall’altro mi chiedo perché in un momento storico come questo non sia stato possibile per il Presidente Conte terminare la legislatura. Ma credo di saperlo.

Di governo in governo ho imparato che la politica italiana, per quanto ci si possa illudere di un rinnovamento a ogni elezione, non cambia mai davvero. Non cambia perché chi cavalca l’onda del consenso provvisorio, per continuare a governare, deve scendere a patti con il lato sporco del Parlamento e mentire al popolo e a se stesso.

Giuseppe Conte non l’ha fatto, e per questo è stato ostracizzato. Vederlo fare le ultime dichiarazioni davanti a un banchetto è stato come veder morire la politica. Morire ancora. Chi però, come me, è tornato (o meglio, ha cominciato) a credere nella politica grazie al Presidente Conte, nonostante le sue ultime dichiarazioni non può che auspicare un suo ritorno in Parlamento a rappresentarlo, ad accendere quella luce che l’altra sera si è spenta. Quindi a presto, Presidente Conte.

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