Draghi non è stato eletto da nessuno e non ha alcun titolo per dettare la linea economica di uno Stato sovrano. L’attuale processo di integrazione condurrà l’Europa alla catastrofe (…) Proporre il commissariamento dell’Italia sul tema del debito pubblico è una strategia che serve a fare un favore a Berlino“. (7 agosto 2014). “L’euro è un gigantesco meccanismo di alterazione del libero mercato a nostro danno” (7 febbraio 2018). “A me sembra improprio che il massimo responsabile della stabilità finanziaria in Europa emetta degli allarmi, seppur poi velati e temperati, circa la tenuta delle banche di un paese che è sotto il controllo della sua vigilanza (26 ottobre 2018).”Un economista non può dire che l’euro sia una buona idea, nessuno l’ha detto tranne qualche fenomeno da talk show” (16 giugno 2019). Così parlò l’economista e senatore leghista Alberto Bagnai. Oggi l’altro Bagnai, quello “pragmatico“, alla Stampa spiega che con il presidente del Consiglio incaricato ha “una lingua in comune” e sulle sue “scelte e analisi di politica economica” non ha “mai trovato nulla da obiettare“. Insomma: con lui “è possibile dialogare”. E nulla osta all’ipotesi di sostenere un suo governo.

L’autore de Il tramonto dell’euro, sottotitolo Come e perché la fine della moneta unica salverebbe democrazia e benessere in Europa (Imprimatur, 2012), spiega di essere “un economista come Draghi” – è associato di politica economica all’Università Gabriele d’Annunzio di Pescara, in aspettativa. Va riconosciuto, ammette, che l’ex presidente della Bce ha “un’esperienza istituzionale e di mercato infinitamente più elevata“, ma “veniamo dalla stessa scuola e abbiamo una lingua comune“: anche Bagnai ha studiato a La Sapienza e ha avuto come docente Federico Caffè. Certo, poi le strade si dividono: nel 2005 Draghi, dopo il phd al Mit, gli anni al ministero del Tesoro e quelli in Goldman Sachs diventa governatore di Bankitalia. Bagnai associato a Pescara e poi all’università Jean Monnet di Bari.

Mentre Draghi approda alla guida della Bce, Bagnai dal blog Goofynomics e da quello sul Fatto Quotidiano poi chiuso, oltre che in diverse pubblicazioni, predica l’uscita dalla moneta unica con tanto di proposte pratiche su come arrivarci. “La fase uno: attaccheremo all’alba”, scrive per esempio nel suo libro. “L’uscita deve, nella misura del possibile, cogliere alla sprovvista, giungendo inaspettata”. Si potrebbe per esempio “convocare una seduta speciale del Parlamento a mercati chiusi (venerdì sera?) per approvare d’urgenza una legge speciale”. Nel novembre 2011 sul suo blog è lapidario: “Anche la Bce modello Fed non può funzionare. L’unica Bce buona è quella morta“. A fine luglio 2012, dopo il “Whatever it takes” con cui il presidente dell’Eurotower salva l’euro annota che “la svolta è comunque inutile (quindi dannosa)”. Quindi “l’unica cosa razionale da fare sarebbe uscire ora, per difendere noi stessi”. Nel 2015 l’economista oggi presidente del Consiglio incaricato supera le obiezioni della Bundesbank e avvia il quantitative easing, il programma di acquisto di titoli di Stato che da allora ci consente in generale di finanziarci a tassi moderati impedendo allo spread tra Btp e Bund di allargarsi troppo come accaduto a fine 2011. Bagnai non è affatto convinto: “E’ utile capire chi ne beneficia maggiormente”, riflette su Goofynomics. “Non c’è da meravigliarsi se oggi la Bce si muove in questa direzione. È invece singolare che alcuni si illudano che ciò risolva i problemi di paesi come l’Italia“.

Nel dicembre 2013 interviene al Parlamento europeo al convegno “Morire per l’euro?” organizzato dal gruppo Efd (lo guidavano Nigel Farage e Francesco Speroni) e mette in fila tutti i motivi per cui la moneta comuna va “smantellata”: “Il whatever it takes era un bluff”, spiega. “Tutto quello che dirò oggi sono banalità, qualsiasi economista lo sa, credetemi, credete a me, non a Mario Draghi!“.

I toni salgono ancora durante il governo gialloverde che a causa delle posizioni euroscettiche della Lega e di una manovra che aumenta troppo il debito agita i mercati e vede il differenziale allargarsi oltre i 310 punti base. Nell’ottobre 2018 Draghi lancia un avvertimento sui rischi dell’innalzamento dello spread per la tenuta delle banche e a una domanda sulle esigenze di bilancio dell’Italia risponde che “finanziare i deficit non è nel nostro mandato”. Parole “improprie” per Bagnai che definisce “assurdo che il governatore della Bce dica che c’è un rischio, lui quel rischio deve gestirlo e finora lo ha fatto tramite il Quantitative easing, l’acquisto di titoli pubblici e privati da parte della Bce cioè una monetizzazione mascherata del debito pubblico“, bestia nera del banchiere centrale perché vietata dai trattati anche se nei fatti gli interventi messi in campo durante la pandemia ci si avvicinano.

Poi il Bagnai “politico” assicura che le preoccupazioni dei mercati non hanno ragion d’essere: “Non è assolutamente nostra intenzione rinunciare in questo momento né in prospettiva all’euro. Non vogliamo andare a fare la guerra a nessuno né tantomeno andarci con le scarpe di cartone”. Ma il Bagnai economista non ha certo cambiato idea e la primavera successiva intervistato tv non ha dubbi: “Un economista non può dire che l’euro sia una buona idea, nessuno l’ha detto tranne qualche fenomeno da talk show. Il giorno dopo una ipotetica uscita dall’euro, o di qualsiasi altro choc tipo l’uscita di un altro alleato o il fallimento di un’altra Lehmann, comunque la gente si alza, va a lavorare, paga con quello che ha, fa colazione… non è che il mondo si ferma”. Draghi? “Gli obiettivi che ha li può ottenere solo con le nostre politiche: rianimando la crescita e rianimando la domanda”.

La posizione del senatore nei confronti dell’Eurotower cambia solo a marzo, quando a Francoforte è arrivata Christine Lagarde. Che in piena emergenza Covid annuncia un nuovo piano di acquisti di emergenza da 750 miliardi di dollari: “Ci siamo fatti sentire, ci hanno ascoltati“, esulta Bagnai su Twitter. Quando a giugno il programma Pepp viene esteso ulteriormente la soddisfazione è palpabile: non c’era alternativa “come la Lega ha più volte sottolineato, sulla base della più elementare logica macroeconomica e dell’autorità dei più importanti economisti mondiali, da Blanchard a Giavazzi a Buiter”, la Bce “grazie alla sua illimitata potenza di fuoco può e deve sostenere il finanziamento degli Stati membri”.

Non c’è traccia, insomma, di apprezzamenti del senatore leghista per la Bce di Draghi. Ma oggi il Bagnai “pragmatico” assicura di non provare imbarazzo davanti alla prospettiva di sostenere un governo guidato dall’uomo che ha salvato l’euro. Non ci sono “preclusioni, pregiudizi sul nome” di quello che definisce “uomo delle istituzioni“. Uno con cui c’è “una lingua comune” che, si legge tra le righe, li distingue dai “dilettanti“, i non economisti, come dalle “persone che parlano in termini di fede o di sogno”. Perché “sinceramente non sono Freud, il “sogno europeo” non so interpretarlo”.

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