“Il dato è negativo ma non dice tutto. Il mercato del lavoro sottostante va molto peggio“. L’economista Fedele De Novellis, partner di Ref ricerche e responsabile del gruppo di lavoro Previsioni e analisi macroeconomiche, legge in controluce l’ultima rilevazione Istat stando alla quale a dicembre gli occupati sono diminuiti di 101mila unità e rispetto allo stesso mese del 2019 si contano 444mila posti in meno (-1,9%) tra precari e autonomi. E avverte che, se si considerano anche i cassintegrati e gli inattivi, i disoccupati “potenziali” aumentano di un altro milione. “Un pezzo di questi posti di lavoro a rischio non si vede per effetto del ruolo protettivo degli ammortizzatori sociali e del blocco dei licenziamenti“, spiega. “Un altro pezzo corrisponde ai nuovi inattivi che, quando inizierà la ripresa, ricominceranno a cercare e dunque verranno di nuovo contati tra i disoccupati”. L’altra considerazione riguarda le categorie più colpite. Lockdown e restrizioni “hanno ampliato le disuguaglianze di genere, di età e di qualifica“: a risentirne di più sono state le donne, i giovani e i meno istruiti. Tutte fasce che partivano già da una situazione di svantaggio relativo sul mercato.

“Certo, il calo di dicembre è stato il maggiore da aprile ma si tratta di una variazione dello 0,4%”, premette De Novellis. “E i dati dell’intero quarto trimestre, con l’occupazione resta superiore dello 0,2% rispetto al periodo luglio-settembre, sono andati anche meglio del previsto considerato il quadro economico generale. Ma attenzione, in questo momento i numeri sono difficili da leggere perché tra quegli occupati molti sono cassintegrati. Questo risulta evidente guardando alle ore lavorate“. Che a dicembre sono calate di 2,9 per occupato, in media. I dati di contabilità nazionale sul totale delle ore lavorate nel quarto trimestre non sono ancora disponibili ma Ref già sulla base di quelli relativi ai tre mesi precedenti aveva calcolato che il crollo equivaleva alla perdita di oltre 1 milione di occupati.

In più ci sono i 482mila inattivi aggiuntivi contati in 12 mesi: “Pensiamo ai camerieri che in tempi normali avrebbero fatto la stagione invernale ma a causa delle chiusure sono rimasti a casa e probabilmente non hanno cercato altro. Questo è un limite delle statistiche, perché si tratta di persone che nel migliore dei casi torneranno nelle forze di lavoro gonfiando nuovamente le file dei disoccupati”. Tutto considerato, “i posti a rischio nel medio termine se non ci sarà una ripresa tale da riassorbirli sono molti di più rispetto a quanto appare a prima vista. Si pensi che il tasso di disoccupazione tra dicembre 2019 e dicembre 2020 è addirittura diminuito, da 9,6 a 9%: un paradosso che si spiega appunto con il sostegno degli ammortizzatori e con il passaggio all’inattività”.

Un quadro, commenta l’economista, che “si tiene solo con un deficit/pil vicino al 10% come quello attuale, cioè con un bilancio pubblico che svolge una funzione protettiva e impedisce al reddito disponibile delle famiglie e ai profitti delle imprese di crollare quanto è crollato il pil. Ma questo può valere solo per un lasso di tempo limitato, certo non per anni perché si porrebbero problemi di sostenibilità”. Indispensabile quindi che una graduale ripresa sgravi mano a mano i conti pubblici dal peso di ammortizzatori e aiuti. I tempi della ripresa però, come sottolinea l’ultimo rapporto Congiuntura Ref, “saranno dettati dalle campagne vaccinali“. E “una completa normalizzazione appare possibile solo dal 2022”, anche se “già l’anno in corso potrebbe vedere un miglioramento progressivo, soprattutto con l’arrivo dell’estate”.

Va poi considerato che i comportamenti e le abitudini non torneranno quelli di prima. Con effetti di composizione e spostamento della domanda che cambieranno stabilmente il volto del mercato del lavoro: per esempio, continua l’economista, “il passaggio dagli acquisti in negozio alle vendite online e al delivery comporta una sostituzione di lavoro femminile con lavoro prevalentemente maschile. Nel frattempo i settori in cui tendono a lavorare di più gli uomini, industria e costruzioni, tengono”. L’effetto già si è visto a dicembre, quando su 101mila occupati persi 99mila sono state donne “per effetto di restrizioni concentrate su settori a prevalenza femminile come turismo e commercio e dello shift verso l’e-commerce”. Il rapporto Ref aggiunge che lo choc del Covid “potrebbe avere avuto effetti sulla percezione dei rischi spingendo quindi verso stili di vita più frugali in maniera permanente. In altri termini, nulla assicura che la propensione al risparmio delle famiglie ritorni, una volta terminata la crisi, sui livelli precedenti”. Molto dipenderà anche dalla percezione che la crisi sia stata superata definitivamente e si entri in uno scenario quasi “post bellico”, con una ripresa dei consumi vivace (redditi permettendo).

Martedì, intanto, arriva il dato Istat sul pil del quarto trimestre. Ref si attende “un -2% che darebbe una caduta complessiva nel 2020 inferiore al 9%. L’impressione è quella che ci sia stata una tenuta, per quanto su livelli bassi, perché rispetto al primo lockdown stavolta l’industria non è stata toccata. In più si inizia a vedere uno spostamento della domanda dalle attività e servizi per il tempo libero, su cui si risparmia per forza, agli acquisti per la casa. E ci sono segnali di rafforzamento degli scambi commerciali con l’Asia”.

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Lavoro, a dicembre gli occupati tornano a calare: -101mila in un mese e 99mila sono donne. In un anno 444mila posti in meno

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