Se come dice Cassese, che lo preferisce a Giuseppe Conte (sarto che non cuce), Matteo Renzi è un corsaro, è anche vero che i corsari, a differenza dei sarti, con le loro scorrerie non hanno vita lunga e di solito disseminano di morti e feriti i loro arrembaggi. Ma al di là della metafora cassesina qui occorre chiarire che di contenuti e scelte ideali (‘lasciamo le poltrone’) c’è poco nelle strategie dell’ex giovanotto di Rignano.

In pochi hanno osservato che anche nello scorso febbraio, appena scampato il pericolo delle elezioni regionali in Emilia, lo spettacolo che era andato in scena era stato identico. Anche all’epoca, ma in molti lo hanno dimenticato, la crisi era praticamente aperta, poi esplose il Covid e tutto rientrò precipitosamente. Uguali però erano gli slogan, uguale la cronologia dell’arrembaggio, uguale la sproporzione tra il pre-testo e le minacciate conseguenze sul governo. Non c’era né Mes né Recovery, c’era la prescrizione, argomento da tutto l’orbe terraqueo considerato risibile per fare una crisi. E la crisi ci fu… o quasi, salvata da quella cosa per niente risibile invece che fu l’arrivo del virus in Italia con i primi morti.

A ripercorrere l’escalation di febbraio si capisce perfettamente il modulo di gioco (politico) di Renzi. Il 2 febbraio ad una convention di IV a Cinecittà arriva la prima invettiva contro il governo e il Pd, il 3 l’attacco si fa esplicito a Bonafede sulla prescrizione, il 5 Renzi prospetta la sfiducia verso il ministro, tanto che il Quirinale interviene per dire no ad altre maggioranze. Però sulla prescrizione, che non piace nemmeno a Pd e Leu, questi ultimi e il M5S giungono ad un accordo due giorni dopo. Anche allora come adesso, piuttosto che mediare sull’accordo, IV invece rompe e minaccia l’appoggio esterno.

Anche allora come adesso, Renzi fa la vittima dichiarando l’8 febbraio al Corriere ‘mi caccino se vogliono’. Anche allora come adesso la sfida diventa incandescente, ma lui però dice ai suoi ‘tranquilli vinciamo noi’ (11 febbraio). Il giorno dopo IV vota in commissione con la destra contro il governo su un emendamento sulla prescrizione, e il 13, allora come oggi, la Boschi rincara minacciando di ‘lasciare le poltrone’ (Repubblica). Messo alle strette Conte decide il 15 di salire al Colle per parlare della crisi con Mattarella. A questo punto Renzi parte per una vacanza lampo in Pakistan, mentre il premier ormai dichiara di non fidarsi più di lui. Aggiunge che se Renzi vuole uscire dal governo non se ne fa uno nuovo ma si va in Parlamento a vedere i numeri reali.

Il 19 Renzi è da Vespa e rialza la posta: abolire il reddito di cittadinanza, elezione diretta del premier come per i sindaci. Nel frattempo chiede un incontro a Conte e invoca Draghi. Siamo alla crisi… Ma dal 22 i giornali parlano dei primi morti di Covid e Renzi-crisi è silenziato dal virus. Anche allora, come adesso, la santissima trinità (absit iniura verbis) che guida l’ex scout è: personalizzazione, direttismo mediatico, movimento. Anche allora come oggi rilascia interviste a raffica ai giornali, va in tv a ripetizione, si sovraespone e decide quasi in solitario provocando stizza e preoccupazione tra i suoi deputati e senatori. A metà febbraio, come ora, è il politico in cima ai talk e ai telegiornali per tempi di parola. Forse pensa di trarne vantaggio nelle settimane successive, ma così non accade, anzi, allora come oggi, accade il contrario.

Morale della favola: Renzi è inaffidabile. Il suo obiettivo da un anno è far fuori Conte, dividere il Pd e metterne in crisi il rapporto con i 5S. Il primo tentativo fu fermato da Covid, il secondo, che va in onda alla prima occasione utile prima che sia troppo tardi per un nuovo governo, è ancora in atto. Per perseguirlo Mes, Recovery, prescrizione, reddito di cittadinanza o sistema elettorale sono argomenti fungibili, interscambiabili.

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