Tempo due o tre giorni e il “bollettino Covid” cambierà. Accanto alla colonna dei “tamponi effettuati” dalle regioni si aggiungerà quella dei “test antigenici rapidi che entrano a tutti gli effetti nel conteggio dei casi positivi e dei guariti. Non più solo tamponi molecolari, dunque. La svolta del ministero della Salute si deve all’impulso dato dai risultati di quelli “terza generazione”, che sarebbero sovrapponibili ai tamponi “classici”, specie se utilizzati entro la prima settimana di infezione. Si tratta di test a lettura fluorescente o immunofluorescenza con lettura in microfluidica. La loro affidabilità ha contribuito a rompere una diga di prudenza (e diffidenza) sui test rapidi che ha retto finora limitando la capacità di tracciamento. Una svolta che, entro certi limiti, può cambiare radicalmente la capacità di testare la popolazione. Anche per il costo inferiore rispetto al classico tampone che, pur restando il “test d’elezione” per affidabilità, richiede di essere processato in laboratorio coi tempi che ne derivano.

Il direttore della Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, ha firmato la circolare che ne riconosce la validità nel solco delle indicazioni europee. Da Cts e Iss fanno sapere che occorreranno alcuni giorni. La circolare dell’8 gennaio mette ordine in una materia complessa e accidentata. Il primo via libera risale a marzo, quando il Ministero della Salute diede l’ok all’uso di 11 kit per priorità a pazienti, operatori sanitari, soggetti fragili ed Rsa. Ma al tempo stesso precisava che “per il loro uso necessitano di ulteriori evidenze su performance e utilità operativa”.

Nel dubbio, tra le onde della prima e seconda ondata, le Regioni hanno nuotato in direzioni diverse. Il Veneto e il Lazio, ad esempio, sono state le prime e più assidue nello sperimentare e poi usare i test rapidi (Zaia come profilassi generale sulla popolazione, il Lazio per test mirati su aeroporti e forze di polizia). Altre come la Lombardia e il Piemonte hanno fatto acquisti della prima ora, ma di fronte alla diffidenza degli scienziati rispetto all’affidabilità dei test di prima e seconda generazione, li hanno poi usato come strumento residuale. Altre ancora, come la Sicilia, si sono incartate in pasticci burocratici che hanno riempito le cronache.

Il commissario Arcuri in estate aveva fatto una gara, su richiesta delle regioni, per 5 milioni di kit, ma a “contare” nelle statistiche erano solo i tamponi molecolari. Erano destinati a porti e aeroporti ma anche a medici di medicina generale”. Il Cts a fine settembre aveva poi autorizzato l’impiego nelle scuole ma “ai fini esclusivi di screening. In pratica di fronte a un sospetto Covid, per avere una prima risposta nel giro di 20-30 minuti ed eventualmente estendere l’esame a tutti i contatti stretti (ad esempio a un’intera classe). In caso di positività, però, bisognerà sottoporsi al tampone molecolare per avere la diagnosi definitiva (coi nuovi test si può usare due volte l’antigenico rapido).

La circolare, dal titolo “Aggiornamento della definizione di caso COVID-19 e strategie di testing“, prevede l’obbligo di tracciabilità di tutti i test nei sistemi informativi regionali: “Gli esiti dei test antigenici rapidi o dei test RT-PCR, anche se effettuati da laboratori, strutture e professionisti privati accreditati dalle Regioni – si legge – devono essere inseriti nel sistema informativo regionale di riferimento”. E va incontro alle richieste delle regioni che già a novembre avevano chiesto di ridurre i famosi 21 parametri per la definizione delle zone a cinque e di “inserire anche i test antigenici rapidi, altrimenti il denominatore (del conteggio dei positivi, ndr) è errato”. Dunque accanto alla penultima colonna dei consueti bollettini giornalieri, dopo il totale dei “tamponi processati con test molecolare” e loro variazione figurerà a breve il dato sui rapidi.

La circolare mette anche dei paletti. L’uso dei test antigenici rapidi è indicato “in situazioni ad alta prevalenza, per testare i casi possibili/probabili; focolai confermati tramite molecolari, per testare i contatti sintomatici, facilitare l’individuazione precoce di ulteriori casi nell’ambito del tracciamento dei contatti e dell’indagine sui focolai; comunità chiuse (carceri, centri di accoglienza ecc.) e ambienti di lavoro per testare le persone sintomatiche quando sia già stato confermato un caso con RT-PCR; in contesti sanitari e socioassistenziali/sociosanitari, o per il triage di pazienti/residenti sintomatici al momento dell’accesso alla struttura o per la diagnosi precoce in operatori sintomatici”.

Sempre dall’Iss rimarcano che il tampone molecolare non scomparirà. Non solo perché resta il più affidabile ma perché proprio la possibilità di sequenziare il genoma consente di individuare varianti del virus come quella “inglese” che viene intercettata ma non emerge come tale dal test rapido. La circolare precisa anche che il test nei sintomatici va effettuato entro 5 giorni dall’esordio dei sintomi, mentre negli asintomatici va effettuato tra il terzo e il settimo giorno dall’esposizione. Se il test rapido risulta negativo, è necessaria la conferma dopo 2-4 giorni o con test molecolare o test rapido di ultima generazione. Alle persone che risultano positive al test antigenico rapido, anche in attesa di conferma con secondo test antigenico oppure con test RT-PCR molecolare, si applicano le medesime misure di isolamento previste nel caso di test molecolare positivo.

Esulta il Veneto. “Non ci siamo mai fermati e abbiamo sempre ritenuto fondamentale la sperimentazione di tutti i test: siamo stati la prima regione che ha affrontato il tema e l’utilizzo dei test antigenici di ultima generazione. Oggi la circolare del Ministero della Salute ci conferma che abbiamo preso la strada giusta” doce il dottor Roberto Rigoli, coordinatore delle Microbiologie della Regione del Veneto. Vero è che a novembre proprio i medici del Veneto avevano lanciato l’allarme per la decisione di sospendere il test molecolare e sostituirlo con l’antigenetico rapido. Una scelta che metteva operatori e cittadini in pericolo per il rischio di “falsi positivi”. Che ora anche il ministero della Salute, evidentemente, ritiene superati.

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