Televisione

Roberto Giacobbo si racconta: “Sono stato in terapia intensiva. Vedevo gente arrivare in scooter convinta di farcela, uscivano nel sacco biologico cimiteriale”

Il divulgatore e volto televisivo si racconta: dalla terribile esperienza con il coronavirus che gli ha fatto capire come "tutto valga la pena di essere vissuto al meglio", al nuovo programma su ItaliaUno Freedom-Oltre il confine fino all'imitazione di Crozza con Kazzenger...

di Giuseppe Candela

L’aria rassicurante e pacifica nasconde la capacità di rischiare e uno spirito avventuriero. Roberto Giacobbo, volto Mediaset dopo molti anni in Rai, ha l’entusiasmo di chi ha vissuto mille vite, di chi può aprire la scatola dei ricordi senza bisogno di ricorrere alla retorica. La gavetta, i successi e l’ultima sfida vinta, quella più importante, contro il Covid.

Lei mi sorprende. A dodici anni ha costruito una radio privata usando i termosifoni come antenne.
“Ho riscoperto questa scatola di legno di mio padre, ingegnere elettronico, un trasmettitore che aveva creato per mia madre che poteva scendere a fare la spesa e ascoltare attraverso la radio se piangevo. Per aumentarne la portata l’abbiamo abbinata all’impianto di riscaldamento del complesso di palazzine. E fin quando eri a sette metri dal calorifero sentivi benissimo. Abbiamo fatto una radio che era aperta dalle sette alle otto di sera con tutti i ragazzi dove raccontavamo le storie di quartiere, aveva un ascolto mostruoso perché non erano ancora nate le radio private. Sentire persone comuni che parlavano era qualcosa di eccezionale”

Cosa c’entra tutto questo con la sua laurea in Economia e Commercio?
“A diciotto anni ero inesperto, Economia e Commercio perché era la facoltà che non mi avrebbe obbligato a fare certamente quel lavoro. Intanto la laurea, prima di schiarirmi le idee.”

Con i 13 milioni di lire che ha vinto al quiz Bis di Mike Bongiorno nel 1982 cosa ha fatto?
“Erano quasi 14 milioni di lire, mi sono serviti tanto. Ho comprato anche una moto usata. Con quella moto sono andato in una sola giornata, senza che i miei genitori lo sapessero, a fare un provino per Radio Montecarlo che era proprio a Montecarlo. Da Roma sono partito con la moto, che nemmeno potevo guidare perché mancavano pochi giorni ai 21 anni, alle otto di mattina ho fatto il provino alle due sono tornato guidando per ore sotto la pioggia.”

Gli anni in radio a Rds, che ricordi ha?
“Bellissimi. Rds era la radio più forte a Roma, mi ricordo che mandai una cassetta non con il solito provino, mi divertivo a fare delle voci caratteristiche, un po’ sull’onda di Alto Gradimento. Creai una specie di trasmissione dove mancava solo la voce della spalla, parlavo ma lasciavo i vuoti al conduttore per intervenire con i personaggi. La mandai a Faber Cucchetti a cui piacque talmente tanto che mi trovai in onda senza saperlo.”

Faceva già l’autore.
“Per anni sono stato un ghostwriter, non si può dire per chi ma diciamo che ho scritto venti libri con il nome mio ma il totale è più alto. Prima di tutto sono autore. Il nostro primo approccio ai tempi era con le radio private o con la tv dei ragazzi, quella che su Rai1 iniziava alla 17, da lì sono passati tutti i conduttori che oggi sono i volti delle prime serate. Da Bonolis a Conti a Frizzi, io facevo Big con Carlo e per Bonolis ho scritto in radio. Il mio debutto televisivo è stato curioso, quando ho lasciato la radio tutti mi dicevano che ero un pazzo. Andava molto bene, avevo avuto offerte economiche importanti per un lavoro che durava un’ora al giorno. Volevo crescere.”

Un’ospitata al Maurizio Costanzo Show ha cambiato la sua carriera.
“Avevo scritto con Riccardo Luna un libro sull’Egitto, pubblicato inizialmente con i nostri soldi per le prime 500 copie. Fu un successo e ci chiamò Costanzo. Avevo quattro minuti di tempo, mi fece parlare venti minuti dell’Egitto. Dopo tre giorni mi telefonò il responsabile di Telemontecarlo mi disse: ‘Vorremmo fare un programma sull’antico Egitto’. ‘Bene, chi lo conduce?’, mi avevano visto al Costanzo Show e volevano puntare su di me anche come conduttore. E così sono arrivato in video.”

Voyager le ha regalato il grande successo.
“Anche Voyager è nato per caso. Su Rai2 una puntata di Destinazione Sanremo condotto da Cecchetto andò molto male, per la prima volta nella storia Telemontecarlo riuscì a superare Rai2 con Stargate. Fece notizia, dopo tre giorni mi telefonò il direttore generale della Rai Saccà, pensavo ad uno scherzo di Fiorello. Era lui, mi offriva un ritorno in Rai con cui avevo già collaborato. Chiesi un contratto a tempo indeterminato, la spuntai dopo le difficoltà iniziali. Entrai come dirigente all’ultimo livello.”

Era anche vicedirettore di Rai2, ha lasciato la poltrona sicura. Le manca la Rai?
“Mi manca la Rai ma non mi manca il posto fisso. Ho lasciato tanti amici, i rapporti sono ottimi.”

Saccà la volle come alternativa alla divulgazione classica degli Angela.
“Su Rai3 c’era Alberto Angela, su Rai1 Piero Angela mentre Rai2 era scoperta. Una scommessa da vincere. Io dissi che doveva essere una cosa diversa perché non aveva senso copiare chi faceva già benissimo.”

Dall’anti Angela all’Angela di Mediaset. Un dualismo che ritorna spesso.
“Se contiamo i divulgatori in prima serata con una mano ci avanza spazio. Viene quasi naturale perché siamo pochissimi.”

È vero che prima di arrivare a Mediaset è stato vicino a un passaggio a Discovery?
“Ci sono stati vari contatti, mi ha stupito che quando ho deciso di tornare libero professionista c’è stato un grande interesse a tutto tondo.”

Mediaset l’ha convinta ed è nato Freedom-Oltre il confine.
“Mediaset ha sposato proprio questo mio desiderio di mettermi in gioco e di progettare insieme una cosa nuova. Devo dire che la cosa mi è piaciuta molto per la partecipazione e per la condivisione che non è facile trovare in una azienda. Partecipazione stimolante e magnetica, è stata la cosa che alla fine mi ha fatto scegliere per questa azienda dove mi trovo molto bene.”

Quanto tempo lavorate alle puntate e come scegliete le storie e gli argomenti?
“Il lavoro di preparazione per una puntata va dai quattro ai sei mesi. Per le storie e gli argomenti facciamo una scrematura, siamo quattro autori ma c’è un grande lavoro di scrittura. Studiamo molto, ora riceviamo tantissimi suggerimenti anche dai telespettatori sui social.”

La produttrice del programma è Irene Bellini, sua moglie. Com’è lavorare insieme?
“Mia moglie lavorava come programmista regista quando sono entrato in Rai, per evitare ogni associazione o ‘accusa’ di favoritismo ha lasciato l’azienda. Aveva aperto una società di produzione che faceva documentari e spot pubblicitari, tutto lontano dalla Rai. Quando sono arrivato a Mediaset hanno scelto di esternalizzare la produzione e a quel punto è stata coinvolta mia moglie. Con lei avevo lavorato a Stargate, l’idea originale era di entrambi, firmavamo insieme il programma. Quando sono uscito dalla Rai c’erano molti dubbi, oggi riceviamo molti complimenti.”

Ha deciso di rischiare.
“Mi sono messo in gioco e mi ha dato grandi stimoli, in Rai da vicedirettore mi occupavo molto anche della parte burocratica, volevo occuparmi solo del prodotto. Penso che questo abbia portato i suoi frutti. Quando mostro la squadra in onda è una mia esigenza per una condivisione reale, è il giusto valore che una squadra di questo tipo deve avere.”

Il programma è tornato venerdì 8 gennaio con grandi ascolti: quasi il 7% di share. Soddisfatto?
“Sono soddisfatto perché questa cifra già importante, lo diventa ancora di più quando Italia1 con un programma di divulgazione culturale raggiunge il terzo posto dietro Rai1 e Canale 5. In onda al venerdì che è un giorno affollato, è un risultato che non ci aspettavamo.”

Come ha vissuto il passaggio da Rete 4 a Italia 1?
“Bene, Mediaset ha scelto di parlare a un pubblico diverso. Una scommessa che sta funzionando, abbiamo un pubblico giovane assolutamente inaspettato tra i 15 e i 21 anni. La divulgazione di solito è considerata una materia per adulti over 60.”

Mediaset, a differenza della Rai, finisce nel mirino per la mancanza di qualità di alcuni prodotti. La divulgazione su una tv commerciale è servizio pubblico?
“La divulgazione per me è sempre servizio pubblico, creare delle novità e far trovare divulgazione anche dove non te lo aspetti è importante. Come trovare un libro gratuito dentro la metropolitana, c’è molta gente che poi lo legge.”

Questi programmi in genere hanno costi importanti.
“Noi abbiamo creato una specie di una carovana itinerante. Durante il lockdown abbiamo girato rispettando tutti i protocolli, abbiamo sette mezzi, di cui due sono camper, dove mangiamo con i nostri mezzi. Siamo quindici persone sottoposte a un tampone ogni cinque giorni, abbiamo formato una piccola bolla. Due di noi avevano problemi con i bambini, siamo diventati diciannove con tre bambini e una baby sitter. Una gestione in qualche modo familiare in cui proviamo anche ad ammortizzare.”

Le rimproverano di dar voce alle opinioni dell’uomo qualunque.
“Le sembra una cosa brutta?”

È doveroso?
“No ma è un’opinione, basta non spacciarlo per quello che non è. Dico chi sta parlando, cosa dice, qual è la sua esperienza, lo ascolto ma poi contrappongo quella di un esperto. Questo aspetto è un po’ scemato nel tempo. Ho imparato che anche la persona che ha studiato meno può darti l’intuizione che il grande professore, magari distratto da mille nozioni, si è dimenticato. Nei miei programmi ho contattato negli anni più di 400 professori e 150 università che ci hanno aiutato a fare i testi e controllarli, non diciamo mai nulla che non sia verificato.”

L’imitazione di Crozza con Kazzenger l’ha più aiutata o danneggiata?
“Mi ha aiutato dal punto di vista della popolarità, non è stata fatta con cattiveria. Essere annoverati tra gli imitati di Crozza per me era strano, sono un lavoratore non una star. Mi ha fatto piacere, ogni tanto eccedeva un po’ ma io a Dimensione Suono facevo un programma di satira. Come potrai mai lamentarmi?”.

Lo ha sentito?
“L’ho incontrato una volta per caso in un albergo di Milano. ‘Ma quanto sei alto’, mi ha detto. L’ho rassicurato che non sono violento, abbiamo fatto due chiacchiere molto piacevolmente.”

Ha una passione per le piante grasse, ha costruito una serra con 1500 piante.
“Sì, è una passione. I miei genitori hanno un piccolo terreno in Sabina, era uno dei tanti lavoretti che mi ero inventato per arrivare al budget mensile quando avevo vent’anni.”

Le hanno insegnato l’importanza dell’indipendenza.
“Mi hanno insegnato la correttezza prima di tutto, mi hanno insegnato a non arrendermi mai. Non in maniera aggressiva, non arrendersi con serenità. Senza maleducazione. Mi hanno dato solidità, male che mi fosse andata avevo la mia famiglia, questo ti permette anche di rischiare.”

Il Covid l’ha colpita e ha messo a rischio la sua vita.
“Sono finito in rianimazione, sulla mia cartella clinica c’era scritto ‘situazione gravemente compromessa’. Passa il tempo e provo a metabolizzare quella grande paura. In quel momento mi sono reso conto di quello che stavo passando, ogni tanto qualche fantasma torna. Lo sconfiggo con la bellezza del presente.”

Ha avuto paura di morire?
“Il Covid è una malattia bastarda. Non solo non viene percepita da chi non ce l’ha ma anche chi ce l’ha non si rende conto quanto è grave. Ho visto entrare persone arrivate con lo scooter, hanno messo la mascherina sorridenti, convinte di lasciare l’ospedale poco dopo passata la febbre. Sono uscite dopo tre ore nel sacco biologico cimiteriale. Persone più giovane di me.”

Da giornalista pensa che l’informazione si sia rivelata all’altezza?
“Secondo me si è vissuti su un crinale, comprensibile, tra la necessità di non seminare il panico per continuare a vivere e la pericolosità di questa malattia che è subdola. Io l’ho attaccata alla mia famiglia, sono andato a comprare delle uova al supermercato sotto casa, era il 5 marzo, probabilmente in fila c’era qualche asintomatico. È una malattia variabile, l’ho attaccata alle mie figlie e a mia moglie. Ho rischiato di morire, in quella mezz’ora ci è mancato niente, un capello. Ho pensato me ne sto andando, mi hanno tolto anche la fede, in rianimazione stavano tentando l’ultima cosa mentre l’ultima delle mie figlie non ha avuto nemmeno un mal di testa. È una roulette russa ma quando ne parliamo pensiamo sempre che a noi tocchi la parte in cui non c’è la pallottola.”

Cosa vorrebbe dire ai negazionisti?
“Io non gliene faccio nemmeno una colpa, forse sono solo poco informati.”

Crede in Dio?
“Sì, credo in Dio ma la considero una cosa molto privata, dal momento in cui faccio un’indagine giornalistica cerco di farla sempre in maniera laica.”

Tutto questo l’ha cambiata?
“Adesso tutto è più bello, tutto è più semplice. Prima vedevo problemi insormontabili. Dopo essere tornato dalla guerra vera, dopo aver visto morire le persone, dopo che la bomba che mi poteva cadere addosso non mi ha colpito per poco, adesso da sopravvissuto so quanto tutto è più bello e vale la pena di essere vissuto ancora meglio.”

Roberto Giacobbo si racconta: “Sono stato in terapia intensiva. Vedevo gente arrivare in scooter convinta di farcela, uscivano nel sacco biologico cimiteriale”
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