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SanPa, la verità di Andrea Muccioli: “Ho visto mio padre mollare ceffoni, ecco quale è stato il suo più grande errore”

Andrea Muccioli, intervistato dal Corriere della Sera, ha compiuto un’analisi molto oggettiva del prodotto streaming, da critico cinematografico tout court: “Beh, non lo definirei proprio un documentario. È pura e semplice fiction"

di Davide Turrini

San Patrigniano era una guerra e anche mio padre sbagliò. Andrea Muccioli interviene per riportare la sua versione dei fatti dopo le polemiche sorte attorno al docuserie di Netflix, SanPa. Nel lavoro di cinque puntate diretto da Cosima Spender, Vincenzo Muccioli, storico fondatore della comunità di recupero di tossicodipendenti romagnola, ne esce ancora una volta tra luci e ombre, come da trent’anni a questa parte. In un comunicato ufficiale la Comunità di San Patrignano ha definito la docuserie un “racconto tendenzioso e parziale, ricco di spettacolarizzazioni, drammatizzazioni e semplificazioni”.

Andrea Muccioli, intervistato dal Corriere della Sera, ha compiuto un’analisi molto oggettiva del prodotto streaming, da critico cinematografico tout court: “Beh, non lo definirei proprio un documentario. È pura e semplice fiction. Cerca l’effetto “pulp” creando più ombre possibili intorno alla figura del protagonista. Ci riesce benissimo, ma ne falsifica la storia, il pensiero e il modello”. Muccioli junior racconta di aver ricevuto decine di telefonate da parte di ex ospiti e dai loro parenti salvati da SanPa, tutte dal tono infastidito per questa fallace ricostruzione sottolineando prima di tutto un aspetto quantitativo: “Mio padre in 17 anni ha accolto 8 mila persone. La Procura di Rimini raccolse le testimonianze di 200 persone: sono il 2,5%. La storia di San Patrignano non può essere guardata solo da questa prospettiva”.

Poi commenta quelli che venivano chiamati metodi coercitivi, l’uso della forza, insomma, per “aiutare” gli ospiti a non ricadere nella tentazione della droga e/o fuggire dalla comunità. Tra questi l’omicidio di Roberto Maranzano e il suicidio di Natalia Berla. Muccioli ha spiegato che quei metodi “non erano incidenti di percorso” e che invece sono stati “errori gravissimi”. “Quando parliamo di San Patrignano non parliamo della Caritas, con tutto il rispetto – ha spiegato – ma di un percorso drammatico di accoglienza di giovani, i tossicodipendenti degli anni ’80, che distruggevano le loro famiglie ed erano abbandonati dallo Stato”.

Poi ha continuato: “Venivano da contesti violenti e sarebbe stato inimmaginabile gestirli con la violenza. Perché la violenza la conoscevano e la esercitavano meglio di te. Come si fa a pensare di poter tenere insieme non dico mille persone, ma anche solo dieci con la forza? Scherziamo? Ecco, a proposito di fatti: la riprova di quello che dico sono le centinaia di bambini che i tribunali di tutta Italia ci diedero in affidamento”. Andrea spiega che il padre Vincenzo l’ha visto “mollare ceffoni”, ma che non ha “mai autorizzato altri a farlo”. Infine il più grande errore del padre è stato proprio quello di “voler salvare tutti” e che “L’accoglienza incondizionata ha un prezzo alto da pagare. Lui questo non lo accettava e così facendo a volte ha dato ai ragazzi una responsabilità più grande di quella che erano in grado di gestire”.

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