Sotto pandemia rischia di saltare l’effetto protettivo sui tumori dei test di screening. Con danni irreparabili. La prova sta nei numeri: quelli della seconda indagine dell’Osservatorio nazionale screening sull’andamento dei test di diagnosi precoce del cancro al seno, collo dell’utero e colon retto, relativa al periodo giugno-settembre 2020, che ilfattoquotidiano.it ha potuto vedere in anteprima e che si sommano al bilancio già drammatico del primo rapporto riferito ai cinque mesi precedenti (gennaio-maggio 2020). Nei primi nove mesi dell’anno che si è appena concluso l’Osservatorio ha calcolato complessivamente oltre due milioni (2.118.973) di screening erogati in meno rispetto allo stesso arco di tempo del 2019. Il che equivale a migliaia di diagnosi di tumore non individuate. Nello specifico sono stati potenzialmente persi 2793 carcinomi mammari, 2383 lesioni della cervice cin2+, 1168 carcinomi colorettali e oltre 6600 adenomi avanzati del colon retto. “Diagnosi tardive possono avere conseguenze cliniche gravi in particolare per il tumore al seno e quello colorettale poiché hanno una progressione più veloce, e a uno stadio avanzato di malattia c’è meno garanzia di trattamento”, dichiara Paola Mantellini, direttrice dell’Osservatorio nonché coordinatrice del Centro di riferimento regionale per la prevenzione oncologica della Toscana.

Il ritardo accumulato fino a maggio, dovuto principalmente alla sospensione in marzo e aprile degli inviti a partecipare ai programmi di prevenzione oncologica e alla minor adesione da parte dei cittadini per la paura del contagio nelle strutture sanitarie, non è stato recuperato nei mesi successivi. Il motivo? I presidi ospedalieri e i distretti sul territorio hanno avuto bisogno di tempo per organizzare percorsi di screening in sicurezza, si sono intensificate le procedure di sanificazione degli ambienti e gli accessi dei pazienti sono stati contingentati per garantire le misure di distanziamento fisico. Senza contare poi che gli inviti ai test sono ripartiti a rilento, tanto che in nove mesi ne sono stati mandati quasi quattro milioni in meno rispetto al 2019. E circa il 20 per cento dei cittadini in meno per ogni tipo di screening, in quel lasso di tempo, non ha aderito. La direttrice dell’Osservatorio avverte: “Il ritardo accumulato durante la prima ondata non solo, quindi, non è stato recuperato ma oggi si è addirittura accentuato, anche se a velocità minore. E questo ritardo che si aggiunge ad altro ritardo non è più accettabile”.

Mediamente alle regioni per recuperare tutto il tempo perso, se l’attività procedesse alla stessa velocità del 2019 (cioè se venisse osservato ogni mese in media lo stesso numero di persone), servono quasi quattro mesi e mezzo (precisamente 4,4, perché ai 2,9 mesi del primo periodo si aggiungono ulteriori 1,5 mesi del secondo). In particolare: cinque mesi (4,7) per le lesioni colorettali, quasi quattro (3,9) per i tumori della mammella e quasi quattro e mezzo (4,4) per le lesioni della cervice uterina. “Si tratta di un ritardo ancora limitato ma avanti di questo passo, se non si recupera il test di screening e si passa all’invito successivo, il danno delle lesioni non diagnosticate potrebbe diventare importante”, avverte ancora Mantellini.

Se andiamo ad analizzare le riduzioni degli screening a livello regionale si nota una grande variabilità nei numeri. Per quanto riguarda Pap test o Hpv test, la quantità di persone esaminate in meno rispetto al 2019 è complessivamente 540.705, pari ad una riduzione generale del 48,8 per cento, passando dal meno 20,4 per cento della provincia di Bolzano, il valore più basso, a quello più alto della Lombardia, cioè meno 68,5%. Sono invece oltre 600mila in meno le donne che hanno eseguito la mammografia (meno 43,5 per cento): dal meno 26,3% registrato sempre a Bolzano al meno 68,7% in Sardegna. Infine, si contano quasi un milione in meno (967.465) di persone sottoposte al test di screening per il tumore del colon-retto (con una riduzione del 52,7 per cento): da meno 18,6% in Abruzzo a meno 93,3% in Calabria.

“Per tornare a un’offerta di test pre-Covid – spiega l’oncologa -, nel rispetto delle misure anti-contagio, è assolutamente necessario investire in risorse strumentali e umane”. Più mammografi e più laboratori (“visto che alcuni sono stati riconvertiti per i tamponi”) e più personale per lo screening: è la richiesta urgente che avanza la dottoressa. “Considerando tra l’altro che non tutto il personale dedicato messo a supporto delle diagnosi di coronavirus la scorsa primavera, oggi è stato riassegnato all’attività oncologica”, precisa. L’attuale emergenza sanitaria di Covid potrebbe essere un’opportunità per ripensare al funzionamento degli screening. “C’è bisogno di una rivoluzione tecnologica – sostiene Mantellini – L’invito non può essere spedito solo via posta, affinché arrivi al più alto numero di cittadini andrebbe mandato tramite mail, oppure fascicolo sanitario elettronico o meglio ancora via sms. Ma mi accorgo che le aziende sanitarie oggi non dispongono dei numeri di cellulari di tutti i cittadini, alcuni infatti non avendo mai fatto accesso ai servizi non sono stati registrati. E questo è un problema che va risolto. Servirebbe inoltre – sottolinea – un sistema informativo per monitorare la storia di screening del paziente, che magari risiede in una regione dove fa alcuni test e ha il domicilio in un’altra dove ne esegue altri. Un flusso di dati del genere ci permette di avere un quadro epidemiologico migliore a livello locale e nazionale”. Garantire l’accesso omogeneo agli screening oncologici in tutte le regioni significa evitare discriminazioni sociali. “I programmi di diagnosi precoce dei tumori sono un importante riequilibratore sociale, sono cioè dei servizi a cui oggi accedono ormai indistintamente tutte le fasce della popolazione a differenza del passato – conclude Mantellini -. Se quindi non si recupera il ritardo accumulato i cittadini più poveri e meno istruiti rinunceranno all’esame, mentre i più ricchi andranno a farselo nel privato”.

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