Un dono divino illumina gli italiani: l’invenzione semantica. Nel mio settore, intraducibili sono le “bombe d’acqua” dell’omonimo saggio, che svela anche l’ideatore di “rischio idrogeologico”. Per uno straniero, l’aggettivo “idrogeologico” attiene alle falde acquifere, non a frane e alluvioni.

Parole come “termovalorizzatore” o un ossimoro come “invarianza idraulica” sono praticamente impossibili da tradurre nella neo-lingua globish che ha espugnato la scienza e l’ingegneria, l’economia e la politica. Anche “grandi opere” entra in un vocabolario fantastico che avrebbe sedotto Jorge Luis Borges, perché ovunque si parla di infrastrutture, senza avventurarsi in un cimento etimologico dal sapore fallico.

Alla metà del 2017, il rapporto sulle prospettive d’investimento nelle infrastrutture di una società di consulenza globale, Pwc, aveva fiutato l’aria che si respirava negli Stati Uniti e in Europa. Le cinque linee guida di Pwc consigliavano, prima di tutto, la massima attenzione sulla capacità degli investimenti infrastrutturali di consolidare il benessere e diffondere la ricchezza. E suggerivano anche di allargare i propri orizzonti, dai progetti di prato verde a quelli per prevenire e mitigare i rischi naturali, industriali, economici.

Terzo, per investire proficuamente non bisognava trascurare i mega-trend, tendenze globali come innovazioni tecnologiche e cambiamento climatico, scambio di beni immateriali, variazioni demografiche e internet delle cose. Privilegiare l’investimento in infrastrutture sostenibili sul lungo periodo e soddisfare la fame di infrastrutture da parte dei paesi ricchi di materie prime erano il quarto e quinto indirizzo. Queste avvertenze, ancora attuali, non andrebbero trascurate nel disegnare il futuro post-pandemia.

Non è facile, però, trovare accenni a questi temi nelle chiacchiere da Bar Sport che improntano il dibattito sulle infrastrutture, palestra di un sempiterno scontro politico; con sempre nuove invenzioni semantiche come il “Ciao” (acronimo di Cultura, Infrastrutture, Ambiente e Opportunità) ossia il piano che viene contrapposto ad altri progetti governativi e non. Il focus è su chi comanda, non su chi governa, né su che cosa. E, alle orecchie di chi vuole comandare, le infrastrutture sostenibili sul lungo periodo suonano come una bestemmia.

La famelica corsa al Recovery Fund, ingentilito in Next generation EU dalla Commissione Europea, non è riuscita a scalfire l’insopprimibile aspirazione a superare “lacci e lacciuoli”. E l’ansia della deroga attanaglia soprattutto coloro che i lacci e lacciuoli li hanno creati; poi, stretti alla gola della società.

In quest’arena, l’Abc, l’analisi tra benefici e costi non andrebbe trascurata. La Banca Mondiale finanzia qualunque infrastruttura a rete – strada, ferrovia, acquedotto, gasdotto, oleodotto, infodotto o elettrodotto – senza valutare benefici e costi dell’impresa? Tempo fa il Dottor Cottarelli aveva suggerito di “seguire l’analisi costi-benefici” nelle scelte d’investimento pubblico in infrastrutture. Da allora, sembra trascorso un secolo: l’Abc, chi era costui?

La cultura dell’emergenza seduce gli italiani dal giorno in cui Giove pluvio colpì la futura capitale della neonata nazione con l’alluvione più severa del secondo millennio. Il Papa interpretò l’evento come castigo di Dio per l’oltraggio della presa di Porta Pia. I nuovi regnanti come la prova tangibile dell’insipienza del potere temporale della Chiesa. Da allora, “gestione di emergenza” diventò il ritornello preferito delle classi dirigenti del paese, pubbliche e private, perfino ecclesiastiche.

Il ballo della “rinascita” seguirà questa tradizione? Tutti conoscono il passo di lumaca con cui si realizzano le infrastrutture in Italia. L’Aurelia Bis di Savona, strada di scorrimento lunga 5 chilometri e larga 10 metri e mezzo, è ancora un cantiere, ancorché aperto dall’ex-governatore ligure nel 2013 e trascurato dall’attuale al secondo mandato. L’Autostrada del Sole, 760 chilometri, fu inaugurata nel 1964, dopo 3.060 giorni dalla posa della prima pietra. Realizzata con la rapidità dell’Aurelia Bis, l’inaugurazione dell’Autosole farebbe notizia soltanto alla fine del XXIII secolo.

Lo strumento della deroga è la via maestra? Senza deroghe, il ponte di Minneapolis a 8 corsie, crollato nel 2007, fu ricostruito in un anno a 10 corsie; dopo regolare gara di appalto. Con il santificato “modello Genova” ce ne sono voluti due.

L’Abc dei progetti pubblici fu varata in Italia anni fa su pressante sollecitazione dell’Unione Europea, ma senza praticarla. Fu sostenuta con forza dalla presidenza Obama e riemerge con la nuova amministrazione post-sovranista. Un docente di Harvard, Cass R. Sunstein, scrisse due anni fa (The Cost-Benefit Revolution, Mit Press, 2018) che gli americani “vogliono che il governo decida in base al risultato che si potrebbe davvero ottenere. L’analisi costi-benefici è un modo per scoprirlo”. Secondo lui, la gente vuole più trasparenza e meno arbitrio.

E gli italiani? Per molti di loro, attivi soprattutto nella politica e nell’impresa, l’Abc “fa perdere tempo; e basta”. I più dotti vestono il peplo degli antichi romani, perché “le strade consolari mai avrebbero superato le forche caudine dell’Abc”. Per contro, l’attivismo di altri italiani, quelli dei comitati, e la sola minaccia dell’Abc ha un po’ calmierato l’omerico costo delle infrastrutture italiane, da quarant’anni le più costose del mondo, come dimostra il ponte genovese di successo.

Peccato che nessun americano abbia mai visto l’Abc del muro di confine con il Messico. Così come nessun italiano ha visto l’Abc delle varie proposte post-pandemiche di oggi, spesso un pot-pourri di deja-vu, compresa la comica finale di una vicenda mistica che ci affascina da quasi un secolo: il Ponte sullo Stretto. Nel disegno dell’Italia post-emergenza, il dibattito democratico basato su argomenti razionali e visioni di futuro – possibile e anche non – sembra del tutto accantonato.

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