Il 15 dicembre, a Torino, un giardino è stato intitolato “ai martiri della lotta contro l’Isis e alle vittime dei fondamentalismi”. È la conclusione di una vicenda iniziata il 3 gennaio 2019, quando la procura di Torino notificò a me ed altri quattro ex volontari torinesi nel Rojava curdo-siriano una procedura per imporci la sorveglianza speciale. Tutti e cinque in Siria avevamo sostenuto le Unità di protezione del popolo o delle donne curdo-siriane (Ypg-Ypj) e alcuni si erano arruolati. Di fronte all’iniziativa della procura il comune di Torino approvò all’unanimità (ma con l’uscita dall’aula di Pd e Lega) una mozione proposta dai 5stelle Paoli, Sganga e Carretto in cui affermava che la città non aveva nulla da temere, e tanto meno da vergognarsi, da cittadini impegnati in questo senso. Quell’odg impegnò contestualmente la sindaca a dedicare uno spazio pubblico ai caduti e alle vittime della guerra contro il “califfato”.

Decine di attivisti, al 90% provenienti dai centri sociali e dalle case occupate torinesi, sono partiti per il Rojava in questi anni, spesso portando aiuti umanitari. Una dipendente del comune di Torino, Antonella Sesino, è stata uccisa dall’Isis a Tunisi il 18 marzo 2015 e insieme a lei un altro torinese, Orazio Conte. Il 18 marzo 2019, mentre Antonella e Orazio venivano ricordati in piazza Palazzo di città, si diffondeva in Italia la notizia della morte di un combattente italiano Ypg, Lorenzo Orsetti, caduto a Baghuz. Il 7 dicembre un altro italiano, Giovanni Asperti, aveva perso la vita indossando l’uniforme delle Ypg. Gli italiani comprendevano così in quei mesi la nostra causa: sostenere l’unica rivoluzione nel mondo odierno ispirata a principi democratici, umanitari e socialisti, i cui combattenti cantano in curdo “Bella ciao” combattendo la Turchia e le milizie più spietate del mondo.

Il Pd arrivò nonostante questo a bloccare l’intitolazione ai martiri in commissione toponomastica. Era il dicembre 2019. I suoi dirigenti erano mossi da una scarsa conoscenza dei temi trattati e da un’inveterata tendenza della sinistra a procedere per schemi astratti. Questi finiscono per tradire gli stessi principi che dovrebbero definire la sinistra come tale. In nome della paura di essere accomunati all’ostilità delle destre all’Islam (questa la linea argomentata dal Pd) si finiva per tradire la parte secolare e democratica, giovane e di sinistra, che nel mondo islamico si batte contro l’estrema destra islamista. Proprio in quei mesi il Rojava veniva invaso dalla Turchia e poco dopo a Maria Edgarda Marcucci, ex combattente Ypj, veniva imposta – unica tra noi cinque; e unica donna – la sorveglianza speciale. L’esito del suo ricorso in appello si saprà a giorni.

Non so se è stata l’invasione turca, la solidarietà nazionale (soprattutto femminile) a Eddi, le email e le telefonate ricevute dalla segreteria, proteste di attivisti nel partito o l’interessamento dell’Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia; fatto sta che il 15 dicembre il Pd ha mutato orientamento. L’intitolazione è divenuta realtà ed è anzi stata migliorata dal Partito democratico: non più alle vittime del solo fondamentalismo islamico ma – com’è giusto – di tutti i fondamentalismi. La Lega ha fatto mancare anche questa volta il suo voto. Forse una vicenda che nel 2014 aveva permesso spettacolari dichiarazioni televisive al suo segretario è divenuta nel tempo troppo concreta per svolgere questa funzione. Azioni e non parole, rivoluzioni e non comizi, sangue (versato da musulmani, atei e cristiani, europei e mediorientali, in molti casi comunisti o anarchici): non si scorgono forse spazi abbastanza ampi di manipolazione regressiva.

Caso più unico che raro, una storia maturata per le strade di Torino e passata da una nazione in guerra ha condotto a un gesto importante anche da parte delle istituzioni. Non bisogna dimenticare, però, che 5stelle e Pd sono al governo e non hanno mai agito sul livello davvero importante in questo quadro, quello della politica estera. Da giorni la Turchia sta ammassando truppe e bombardando le Ypg nei pressi della città siriana di Ain Issa, dove io stesso sono stato di stanza per quattro mesi. È lì che ho conosciuto amici caduti come Zagros, Berivan, Bager, Shahin, Serhat. Ci siamo battuti due anni perché la loro memoria venisse onorata, ma resta necessario evitare la cosa più importante: che altri giovani partigiani vedano spezzate le loro vite. L’Italia non deve e non può restare a guardare.

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