La corte d’appello di Torino deciderà entro Natale a proposito del ricorso presentato da Maria Edgarda Marcucci contro la misura della sorveglianza speciale a lei applicata nel marzo scorso dal Tribunale torinese, misura che le sottrae una parte considerevole di libertà. Eddi Marcucci nel 2017, all’età di 26 anni, è andata in Siria per unirsi alle milizie curde e combattere lo Stato Islamico, contribuendo a infliggere un colpo mortale al califfato.

In quanto capace di maneggiare le armi, è ritenuta oggi pericolosa per l’Italia, a prescindere dalle intenzioni di utilizzare quelle armi in un modo o in un altro oppure di non utilizzarle affatto. La sorveglianza speciale è una misura di prevenzione, vale a dire una misura che viene applicata non come reazione a un reato commesso nel passato e accertato come tale – come accade per la pena – bensì al fine di prevenire che un eventuale reato possa venir commesso nel futuro, senza ovviamente che sia possibile alcun accertamento al proposito, essendo l’oggetto in questione qualcosa di interamente ipotetico.

La persona non deve essere punita perché si è comportata male. Piuttosto si giudica, da una serie di indizi, che essa potrebbe decidere di comportarsi male. E quindi le si impongono limitazioni che le renderanno più difficile farlo.

Il contrasto tra le misure di prevenzione – eredità di regi decreti dell’era fascista, quando venivano usate come strumenti di repressione del dissenso – e alcuni principi sanciti dalla nostra Costituzione (o comunque di derivazione costituzionale) è stato fatto notare molte volte. Si pensi ad esempio al principio di presunzione di innocenza: certo, la misura di prevenzione non è una pena e in quanto tale non è comminata al colpevole dichiarato, ma sarebbe difficile negarne la natura afflittiva. Rimane dunque quanto meno dubbia la legittimità della sua applicazione.

Oppure si pensi al principio di tassatività, per il quale i comportamenti previsti come reati devono essere descritti in maniera chiara e precisa dalla legge, affinché tutti possano conoscerli e le decisioni al proposito non siano prese arbitrariamente. Solo per i reati così individuati, e a seguito di atto motivato dell’autorità giudiziaria, è possibile una restrizione della libertà personale (art. 13 della Costituzione).

La Corte Costituzionale, investita varie volte della questione, ha sempre salvato le misure di prevenzione, assestando loro tuttavia dei duri colpi. Già nel 1956 la Consulta, con la sentenza numero 11 firmata da Enrico De Nicola in qualità di presidente, stabiliva che “l’emanazione di un provvedimento dell’autorità amministrativa restrittivo della libertà personale” fosse “in aperto contrasto con la norma costituzionale”, contrastando dunque ogni limitazione della libertà imposta dall’autorità di Pubblica Sicurezza, senza controllo giurisdizionale e idonea garanzia del diritto alla difesa. Oltre mezzo secolo dopo, nel febbraio del 2019, con la sentenze numero 24 la Corte afferma che non è compatibile con la Carta Costituzionale la possibilità di sottoporre qualcuno a sorveglianza speciale in base a una previsione troppo generica di pericolosità per come enunciata nella norma.

Già nel 2017 la Corte Europea dei Diritti Umani aveva osservato come alcune misure di prevenzione previste dall’ordinamento italiano fossero “formulate in termini molto generici e il loro contenuto è estremamente vago e indeterminato; ciò vale in particolare per le disposizioni relative agli obblighi di ‘vivere onestamente e rispettare la legge’ e di ‘non dare ragione alcuna ai sospetti’” (De Tomaso c. Italia). Troppo arbitraria l’interpretazione di queste frasi. Chi può dire con certezza se tanti di noi, Eddi Marcucci compresa, hanno mai dato ragione alcuna a sospetti?

Il diritto penale in una democrazia avanzata giudica dati di fatto, non intenzioni nella mente delle persone. Le misure di prevenzione ci catapultano in una sorta di realtà distopica che sembra quella del Minority Report di Philip K. Dick, senza neanche tuttavia che polizia e prefetti siano dotati dei poteri premonitori del Precog. A mano a mano verrà ultimato quel processo di loro erosione che già le Corti hanno cominciato.

Questo ci apre a un altro argomento, non più di principio bensì di fatto: senza poteri di preveggenza, per applicare una misura di prevenzione bisogna necessariamente basarsi su indizi. Su quali indizi si è basato il tribunale di Torino nel comportamento di Eddi Marcucci per qualificarla come pericolosa? Fino a oggi i fatti dicono che è stata pericolosa per lo Stato Islamico.

Articolo Successivo

Virginia Raggi, il processo d’Appello alla sindaca verso la sentenza il 14 dicembre

next