Presidio pacifico dei lavoratori Whirlpool di fronte la sede del consolato Usa a Napoli. Gli operai dello stabilimento partenopeo hanno chiesto un incontro affinché la vertenza venga portata all’attenzione della nuova amministrazione statunitense. “È giusto provarci – spiega Vincenzo Accurso della Rsu Whirlpool – i vertici dell’azienda ci hanno sempre detto che uno dei motivi della chiusura erano i dazi e le politiche commerciali imposti dall’ex presidente Trump, quindi speriamo in una politica aziendale diversa adesso”. Tra i lavoratori però il cambio alla Casa Bianca non è l’unico motivo che induce a sperare ancora, dopo più di un anno di proteste, in un dietrofront rispetto alla chiusura decretata a ottobre.

“La Whirlpool non ci ha mai fornito i dati che motivassero lo stop alla produzione nel sito partenopeo – spiega il segretario generale della Fiom Napoli Rosario Rappa – e per di più in un momento storico in cui la pandemia ha paradossalmente incrementato le vendite di lavatrici e di elettrodomestici appare ancora più inspiegabile la chiusura di questa fabbrica. In altri siti italiani del gruppo Whirlpool si assumono interinali e si chiedono straordinari ai lavoratori proprio a causa dell’enorme richiesta dal mercato, invece l’unica cosa che sta facendo l’azienda è incentivare i lavoratori in uscita”. Dei 420 operai Whirlpool 70 hanno deciso di accettare i circa 80mila euro di buonuscita proposti dall’azienda, gli altri 350, che a turno stanno presidiando la fabbrica di via Argine, percepiranno lo stipendio fino al 31 dicembre e intanto continuano a sperare nella riapertura del sito. “Sono scelte personali, chi ha scelto di accettare la buonuscita aveva le sue ragioni che non condanniamo, dipende da tanti fattori, anche dall’età, però noi siamo fiduciosi proprio visto l’andamento del mercato – dice ancora Rappa – noi siamo certi che alla fine riusciremo a riaprire la fabbrica e se pure alcuni operai hanno fatto la scelta di accettare la proposta aziendale, questo non indebolisce la protesta che ricordiamo, rappresenta un precedente unico in Italia, in cui un’azienda può decidere di non rispettare gli accordi presi con i governi senza subire alcuna ripercussione. Anche per questo proseguiamo la lotta, perché ciò che è avvenuto qui può avvenire in altre realtà italiane”

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