Perquisizioni in 20 regioni e arresto del “leader” del movimento nella capitale. È la sintesi dell’operazione comunicata lo scorso dal 24 novembre dal Comitato investigativo russo nei confronti dei Testimoni di Geova, gruppo religioso finito nel mirino della polizia nell’aprile 2017. La svolta è stata la pronuncia della Corte suprema russa che, accogliendo l’istanza del ministero di Giustizia, ha dichiarato il movimento religioso estremista, vietando la sua attività. Da allora le retate e i processi contro i suoi seguaci sono all’ordine del giorno, ma fino a pochi giorni fa si trattava di operazioni che si limitavano alla provincia. Ora, invece, sono arrivate fino alla capitale, aprendo una nuova fase della repressione con quattro arresti e dieci perquisizioni, ha detto Jaroslav Sivulskij dell’Associazione europea dei Testimoni di Geova.

Perseguitati durante l’Urss, con migliaia dei seguaci deportati in Siberia sotto Stalin per ‘attività antisovietica’, legalizzati e riabilitati all’epoca di Boris Eltsin, nella Russia di Putin i Testimoni di Geova sono costretti di nuovo alla clandestinità. La Federazione si aggiunge così alla lista dei Paesi come Cina, Corea del Nord o Arabia Saudita dove il movimento religioso è fuorilegge. I suoi membri vengono arrestati come pericolosi criminali, e la tv russa manda in onda immagini di operazioni speciali con porte sfondate e pacchetti di dollari sequestrati come prova della “pista statunitense” dietro l’attività del movimento. Le condanne possono arrivare fino a sei anni di carcere, mentre alcuni Testimoni di Geova avevano denunciato torture durante le interrogazioni, confermate da perizie indipendenti, tutte smentite dai controlli interni delle forze investigative.

Come ha raccontato al Fatto.it Aleksandr Verkhovskij, membro del Consiglio per i diritti umani presso il presidente russo e direttore del centro “Sova” specializzato tra l’altro in libertà di coscienza, la campagna contri i Testimoni di Geova in Russia è iniziata nel 2009 col divieto delle loro pubblicazioni, compresa la Bibbia nella loro traduzione, cui è seguita la proibizione delle organizzazioni locali che li diffondevano. Infine, la messa al bando dell’organizzazione madre nel 2017 e di conseguenza di tutte le sedi. Alla base dell’accusa di estremismo contro il movimento c’è la convinzione dei Testimoni di Geova che la loro dottrina sia l’unica ad essere vera. Questo, come spiega Verkhovskij, è stato interpretato come affermazione della propria superiorità religiosa intesa come discriminante verso altri gruppi religiosi. Una delle fattispecie di estremismo, secondo la legislazione russa in materia.

Secondo Jaroslav Sivulskij, al momento ci sono 50 ricorsi di Testimoni di Geova contro la Russia in attesa del verdetto della Corte di Strasburgo, che ancora nel 2010 aveva decretato illegale il divieto e la chiusura dell’organizzazione moscovita del movimento decisa da una corte di Mosca nel 2004. Una prima avvisaglia locale che aveva preceduto la successiva campagna nazionale. Nel mese scorso, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, che ha il compito di supervisionare l’attuazione delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, ha esortato la Russia a prendere delle misure per ristabilire il diritto alla libertà di religione dei Testimoni di Geova annullando, in particolare, la messa al bando dell’organizzazione del 2017. Nelle sue risposte alla Corte di Strasburgo il governo russo ha spiegato che la decisone della Corte suprema russa non vieta la religione dei Testimoni di Geova che possono professarla individualmente. In questo modo, spiega Verkhovskij, “qualsiasi attività collettiva, ad esempio una riunione di preghiera, può essere considerata come la continuazione dell’attività di un’organizzazione vietata”, punibile penalmente.

Visto che tra i 175mila Testimoni di Geova presenti in Russia prima del divieto solo 5mila hanno lasciato il Paese, il bilancio giudiziario di questi tre anni è molto pesante. Secondo Verkhovskij, dieci persone stanno attualmente scontando la pena in carcere, circa 40 sono in carcerazione preventiva, 26 membri hanno subito condanne con la condizionale oppure devono versare delle multe e altri 400 sono sotto inchiesta. Il caso più mediatico è quello del cittadino danese Dennis Christensen, Testimone di Geova che risiedeva in Russia dall’inizio dei 2000 ed è stato il primo ad essere stato perseguitato penalmente dopo il divieto del 2017. Attualmente sta scontando una condanna a sei anni di carcere ed è considerato prigioniero di coscienza da Amnesty International.

Nel 2018, durante una riunione del Consiglio per i diritti umani presso il presidente russo, Vladimir Putin, sollecitato da alcuni membri a esprimersi sulla questione dei Testimoni di Geova, ha bollato come “assurdità” le persecuzioni di cui erano oggetto, promettendo di analizzare attentamente il problema. Due anni dopo, dice Verkhovskij, che era presente a quella riunione, la campagna contro l’organizzazione religiosa continua a grandi passi ed è arrivata a Mosca. L’esperto spiega che questa campagna è guidata dall’Fsb, Servizio federale per la sicurezza. Le motivazioni? “L’immagine della Watch Tower (Sede storica dell’omonima organizzazione giuridica dei Testimoni di Geova, attualmente spostata a Warwick, NY) con lo sfondo il ponte di Brooklyn sin dai tempi sovietici è stata utilizzata come simbolo dell’influenza americana, ed è ancora così”, spiega Verkhovskij. Inoltre, continua, la popolazione non vede i Testimoni di buon occhio a causa della loro modalità di proselitismo porta a porta. Infine, “un grande fattore di irritazione per i funzionari russi, fino ai vertici” è stata la tendenza dei Testimoni di Geova di schivare, secondo la loro dottrina, i contatti con le autorità, abituati ad avere il controllo su tutto.

Se la Corte di Strasburgo dovesse decretare la revoca del divieto dell’organizzazione in Russia, non è detto che la Corte costituzionale russa accoglierà la decisione, conclude Verkhovskij. Con la messa al bando dei Testimoni di Geova, Mosca ha confiscato tutte e loro proprietà, in particolare molti immobili che, in caso di annullamento della decisione della Corte suprema, dovranno essere restituiti ai proprietari.

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