Signa, Bruxelles, Perugia, Roma, forse Siena. A quasi due mesi , l’8 ottobre scorso, dal passaggio delle consegne da presidente della giunta regionale con Eugenio Giani, l’ex governatore Enrico Rossi non si è concesso neppure qualche settimana di vacanze, dopo vent’anni trascorsi in Regione, prima come assessore alla Sanità e poi come capo del governo toscano. Da politico navigato, “un comunista berlingueriano”, come si definisce, Rossi, 62 anni, esordio di carriera come sindaco di Pontedera, in provincia di Pisa, dove impedì, grazie alla sua amicizia con Giovannino Agnelli il trasferimento a Nusco, in Irpinia, della Piaggio, sa bene che in politica le pause possono rivelarsi dannose. Così, dopo essersi sfilato la cravatta rossa per donarla a Giani come gesto simbolico di passaggio delle consegne in Regione, Rossi è traslocato prima a Signa, un comune della Piana fiorentina, dove è stato nominato assessore allo Sviluppo economico dal sindaco Giampiero Fossi (Pd), incarico che gli permette di continuare a far parte del Comitato delle Regioni, l’assemblea dei rappresentanti regionali e locali dell’Unione europea, e ora a Perugia inviato, il 27 novembre scorso, dal segretario Nicola Zingaretti come commissario dell’Umbria al posto del veltroniano Walter Verini.

Signa, Perugia, Bruxelles e in prospettiva Siena, dove sono già aperte le danze per la successione in Parlamento dell’ex ministro Pier Carlo Padoan, eletto nel 2018 col Pd, e dimessosi nelle settimane scorse per entrare nel cda di Unicredit (futuro annunciato da presidente).

Dice Rossi che smessi gli abiti di presidente della Regione Toscana poteva ottenere una comoda e ben pagata poltrona in qualche consiglio di amministrazione, ma che preferisce continuare a fare politica e l’incarico di commissario Pd in Umbria è un ottimo trampolino di lancio per un ruolo nazionale (c’è chi ha ipotizzato una futura leadership di una corrente di sinistra all’interno del partito, ma l’interessato ha smentito).

L’Umbria è regione difficile e scomoda dove il Pd è stato travolto dall’’inchiesta sui presunti concorsi truccati in sanità, con 45 indagati, tra cui l’ex presidente della Regione Catiuscia Marini, l’ex sottosegretario Gianpiero Bocci e l’ex assessore regionale alla Sanità Luca Barberini. Inchiesta che ha probabilmente contribuito alla sconfitta elettorale dell’ottobre 2019 quando per la prima volta dal dopoguerra l’Umbria rossa non è più di sinistra, ma ha virato a destra, come quest’anno le Marche. Le regioni rosse dell’Italia centrale si sono tinte di leghismo e Rossi, che da presidente della giunta toscana sognava l’unità tra Toscana, Umbria e Marche, lancerà la sfida alla riconquista a sinistra dell’Italia di centro, grande serbatoio di voti per il Pd.

Legato a Goffredo Bettini, l’ex governatore toscano giocherà a Perugia la sua partita nazionale. Signa e Bruxelles rischiano di allontanarsi dalla strategia politica di Rossi. Il suo centro di gravità politica saranno Perugia e Roma, sede nazionale del Pd. Nel capoluogo umbro incontrerà un altro toscano che conta, l’arcivescovo Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, appena guarito dal Covid. E alla Chiesa di Papa Francesco il “berlingueriano” Rossi è molto attento.

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