Prescrizione. Non c’è nulla da fare per la causa risarcitoria promossa dai familiari delle 140 vittime del disastro Moby Prince contro lo Stato, ritenuto responsabile, attraverso le sue articolazioni periferiche, della morte a bordo del traghetto andato a fuoco 29 anni fa, il 10 aprile 1991, dopo la collisione con la petroliera Agip Abruzzo nella rada del porto di Livorno. Il tribunale civile di Firenze non ha riconosciuto ai parenti il diritto al risarcimento perché, scrive il giudice Massimo Donnarumma nel provvedimento, “nel caso sottoposto alla nostra cognizione” lo stesso “deve ritenersi prescritto per il decorso del termine di due anni dalla data della sentenza della corte di appello penale di Firenze divenuta irrevocabile” dal 5 febbraio 1998. E anche si fosse preso in considerazione il termine dei cinque anni la causa sarebbe prescritta lo stesso. Ma nelle sole nove pagine di sentenza il giudice pone due questioni: la considerazione che le conclusioni della commissione d’inchiesta siano “un atto politico” e che i parenti delle vittime avrebbero sin dall’inizio “potuto percepire la morte dei propri cari quale danno ingiusto conseguente al comportamento illecito attribuito agli odierni Ministeri convenuti”.

La causa era stata intentata alla luce delle conclusioni della commissione parlamentare d’inchiesta sul disastro del Moby Prince che, tuttavia, per il giudice fiorentino “non ha disvelato verità e certezze nuove” ma è “un atto politico che non supera quanto è stato già accertato a livello penale”. Secondo il magistrato “è corretta l’osservazione dei ministeri convenuti, quando rilevano che l’unica via per valorizzare gli elementi di fatto evidenziati nella relazione finale sarebbe quella di avanzare una nuova istanza alla Procura della Repubblica, affinché la stessa – valutata l’effettiva novità degli elementi in questione e la idoneità degli stessi a supportare un eventuale rinvio a giudizio – disponesse la riapertura delle indagini e del procedimento penale, in cui eventualmente gli odierni attori potranno far valere le pretese avanzate in questa sede. In secondo luogo, si rileva che – al contrario di quanto affermato da parte attrice – non si ravvisano elementi di novità fattuali nella relazione di inchiesta, ma, a ben vedere, i medesimi fatti già accertati
nel processo penale sono stati semplicemente rivalutati dalla commissione, che è pervenuta a conclusioni diverse da quelle che si sono delineate in sede penale“.

Opposta la valutazione di Loris Rispoli, presidente di una delle due associazioni dei familiari delle vittime: “Le conclusioni della commissione d’inchiesta per noi sono importanti perché hanno fatto emergere un documento in cui Navarma e Snam (a cui apparteneva la petroliera) si accordarono per pagare i risarcimenti ai familiari (Navarma) e il danno ambientale (Snam) senza approfondire le rispettive responsabilità sul disastro. E abbiamo la certezza che sia stata una strage e ora la magistratura deve mettersi all’opera per stabilire la verità”.

La commissione di inchiesta ha lavorato per due anni con oltre 70 audizioni, decine di testimoni chiave, migliaia e migliaia di documenti consultati e analizzati, sei perizie, analisi ad alta tecnologia sui filmati dell’epoca, carte mai viste né cercate prima. I senatori esclusero la nebbia come causa e puntarono il dito contro sull’incapacità e l’inadeguatezza della Capitaneria di porto. Falso anche che tutti i passeggeri morirono nel giro di mezz’ora. Secondo il magistrato “la posizione della petroliera Agip Abruzzo e la dinamica dei soccorsi
prestati dalla Capitaneria di Porto – che costituiscono i temi portanti dell’impianto attoreo – sono elementi sui quali i parenti delle vittime hanno sempre incentrato e richiamato l’attenzione. In sostanza, il rapporto causale tra la condotta dei Ministeri convenuti e il danno – rapporto che gli attori pongono a fondamento della propria azione – era sin dall’inizio riconoscibile, fin dalle prime
ricostruzioni della vicenda. Fin da subito gli odierni attori avrebbero potuto percepire la morte dei propri cari quale danno ingiusto
conseguente al comportamento illecito attribuito agli odierni Ministeri convenuti”.

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