Quella foto in cui l’allora primo ministro israeliano, Yitzhak Rabin, e il presidente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, Yasser Arafat si stringono la mano suggellando gli Accordi di Oslo del 1993, sotto lo sguardo soddisfatto di Bill Clinton, ha rappresentato uno dei momenti di maggior speranza riguardo al processo di pace nel conflitto israelo-palestinese. La faccia che rimane dietro le quinte, ma che ha svolto un ruolo fondamentale nei negoziati, anche in quelli che hanno portato ai cosiddetti Oslo 2 del 1995, è quella dello storico negoziatore palestinese Saeb Erekat. Oggi, a 65 anni, alla vigilia del 16esimo anniversario della morte di Arafat, quello che è stato uno dei principali collaboratori dei leader palestinesi è morto all’età di 65 anni in un ospedale di Gerusalemme, dopo aver contratto il coronavirus ed essere stato ricoverato per settimane, con le sue condizioni che si sono gradualmente aggravate. Una perdita che ha toccato sia i leader della Palestina che di Israele, tanto che il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), Abu Mazen, ha proclamato tre giorni di lutto nazionale e bandiere a mezz’asta in tutto il Paese.

Erekat era ricoverato da settimane nell’ospedale Hadassah di Gerusalemme, dove era giunto dopo essere stato curato a casa propria, in Cisgiordania. Ma il suo fisico, già indebolito da un infarto che lo ha colpito nel 2012 e da un trapianto di polmoni effettuato negli Stati Uniti nel 2017, non è riuscito a combattere il virus.

Nato nel 1955 ad Abu Dis, cittadina araba nei pressi di Gerusalemme, negli Anni 70 si è trasferito negli Stati Uniti per studio, prima di diventare uno dei principali consiglieri di Yasser Arafat e di Abu Mazen. Erekat, esponente del principale partito palestinese al-Fatah, si è sempre considerato un grande sostenitore della soluzione dei due Stati, vista ancora oggi come la via maestra per arrivare alla pace tra la popolazione palestinese e lo Stato di Israele. Allo stesso modo, si è opposto alla nuova politica di pacificazione promossa dal presidente statunitense, Donald Trump, e dal genero e consigliere per le questioni mediorientali, Jared Kushner, con l’appoggio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Una provocazione, quello che è stato ribattezzato l’Accordo del Secolo, che lo convinse a spendersi per una rottura dei rapporti diplomatici con Tel Aviv.

Il suo impegno all’interno della leadership palestinese è iniziato nel 1991 come vice capo della delegazione alla Conferenza di Madrid, impegnandosi poi nelle trattative che hanno portato alla firma dello storico accordo nella capitale norvegese, fino a diventare, nel 1994, ministro per il governo locale dell’Autorità nazionale palestinese e anche capo negoziatore, carica con la quale ha ottenuto la stipula degli Accordi di Oslo 2, prima di diventare, nel 1996, membro del Consiglio legislativo palestinese rimanendo in carica fino alla morte. Nel corso di tutti questi anni, fino al 2011, è però rimasto al fianco dei leader palestinesi, vivendo in prima persona i disordini legati alle Intifada, attaccando Tel Aviv per le azioni commesse dall’esercito israeliano nei confronti della popolazione della Cisgiordania e di Gaza e prendendo parte a tutte le principali conferenze di pace tra le due entità territoriali.

La morte del “fratello e amico, il grande combattente” Saeb Erekat è “una grande perdita per la Palestina e il nostro popolo”, ha detto Abu Mazen aggiungendo di “provare un profondo dolore per la sua perdita, specialmente alla luce di queste difficili circostanze che deve affrontare la causa palestinese”. “Il nostro popolo – ha continuato – ricorderà il giusto figlio della Palestina che era in prima linea per difendere le cause della sua patria e del suo popolo nei campi del lavoro e della lotta nazionale e nell’arena internazionale”.

Messaggi di cordoglio anche dalla politica israeliana. La prima è stata l’ex ministro degli Esteri, Tzipi Livni: “Sono triste per la morte di Saeb Erekat. Saeb ha dedicato la sua vita al suo popolo. Usava dire che ‘ottenere la pace è il mio destino’”, ha scritto su Twitter dicendo che “da malato mi aveva mandato un messaggio: ‘non ho finito quello per cui sono nato’. Le mie più profonde condoglianze ai palestinesi e alla sua famiglia. Mancherà”.

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