Non ingenti prestiti per salvare aziende o imprenditori in difficoltà, ma una sorta di usura di strada in formato famiglia, legata al bisogno di mangiare o di andare a fare la spesa di gente umile, anziani e malati. È quanto emerge da una inchiesta della procura di Bari che ha portato oggi (9 novembre) all’esecuzione di 13 arresti. Dieci delle persone destinatarie dei provvedimenti cautelari sono donne, quattro sono state condotte in carcere, sei sono state poste agli arresti domiciliari. In sei percepivano il reddito di cittadinanza.

Si parla per lo più di piccole somme di denaro: 50 euro, per restituirne 75. Al massimo mille, per renderne poi 1.500 in soluzioni rateizzabili da 250 al mese. Di interessi che comunque sono arrivati a sfiorare tassi elevatissimi: dal 60 fino al 5mila per cento. E di una rete fitta di incontri di quartiere, di telefonate e anche di minacce più o meno velate. Lo scenario è quello dei quartieri popolari di Bari da Japigia a San Pasquale fino al San Paolo, dove è all’ordine del giorno la necessità di piccoli fondi in nuclei famigliari sorretti da una sola pensione o stipendio, alle prese tra l’altro con la crisi determinata dall’emergenza Covid.

Nell’ordinanza di custodia cautelare a firma del gip Annachiara Mastrorilli su richiesta del pm Lanfranco Marazia e del procuratore Roberto Rossi, sono elencate storie di ordinaria disperazione. L’attività investigativa è stata condotta dalla Guardia di finanza, al comando del colonnello Luca Cioffi e in particolare dal Nucleo di polizia economico finanziaria e dal Gico, al comando del tenente colonnello Domenico Mallia.

I fatti partono dal 2011 e arrivano ai giorni nostri. I reati contestati, a vario titolo, ai 24 indagati (11 dei quali in stato di libertà), sono usura aggravata dallo stato di bisogno delle vittime ed estorsione. Spesso, infatti, gli usurai costringevano le loro vittime a pagare gli interessi anche ricorrendo a violenze e minacce. “Se non paghi vengo e ti sbrano”, “Se non paghi ti brucio l’auto”, “Ti mando mio figlio con la pistola”, “Ti faccio saltare in aria”, sono alcune delle frasi rivolte dagli arrestati alle vittime.

Tutto è iniziato dalla denuncia di una anziana che in un primo momento si è rifiutata di formalizzare le accuse, poi ha accettato di farlo, motivata a sfuggire al vortice di vessazioni in cui era finita ormai da anni.
Da qui sono partite intercettazioni telefoniche e ambientali. “Sono andata ieri – raccontava al telefono – e gli ho detto dammi 20 euro per fare la spesa, non me li ha dati, nn ce ne ho. Vieni oggi. Sono andata ieri e non mi ha aperto. Alle 6 si era già chiusa dentro, stamattina sono andata e gli ho detto mi devi dare i soldi, ma ora non ne tengo, vieni più tardi, ora sto chiamando e non mi risponde”.

Le vicende citate sono moltissime. C’è una casalinga con due figli, una donna con la pensione sociale, la madre di figli disabili, gente con lo stipendio ma già impegnata con finanziamenti legali e con pignoramenti da affrontare. Una persona ludopatica, giunta fino al punto di dover vendere la casa.
Nel condominio del rione Japigia trovavano il sostegno per le necessità quotidiane. Salvo impelagarsi in un meccanismo di richieste insistenti e di riscossioni al limite del sostenibile. Al centro del sistema un carrozziere, attorno donne imparentate fra loro in grado di gestire gli affari e di insistere per i pagamenti: Sisina, Maria, Giovanna, Angela. Volti comuni, rimasti nell’ombra fino a ieri, fra loro perfino una vedova 81 enne e un’altra coetanea.

Il gip ha mandato in carcere Maria Magistro, Angela e Teresa Salvatore, Teresa e Vito Signorile. Ai domiciliari Teresa Strambelli, Teresa Vitucci, Giovanna Magistro, Antonia Carone, Maurizio Carrassi, Teresa e Domenico Marinelli e Coscia Franca. Cravatte rosa, il nome dell’operazione. Due delle vittime sono state sottoposte a protezione. Contestualmente agli arresti sono stati anche eseguiti sequestri di appunti e documenti, di 100mila euro in contanti e di gioielli in oro trovati in casa di uno degli indagati e ritenuti il pegno per i debiti che non si riuscivano a saldare.

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