Il governo polacco guidato dal partito di destra Diritto e Giustizia (PiS) rallentato dalle proteste di massa. L’esecutivo, infatti, dopo le mobilitazioni non ha ancora fatto entrare in vigore la sentenza che avrebbe aggiunto maggiori restrizioni al diritto di aborto. Il 22 ottobre il Tribunale costituzionale polacco ha reso illegale l’interruzione di gravidanza in caso di malformazione del feto, ma il governo non ha mai pubblicato la sentenza in Gazzetta ufficiale, nonostante avesse annunciato di farlo il 2 novembre.

Il motivo, secondo molti, sarebbero proprio le numerose manifestazioni che da circa tre settimane (e cioè dalla sentenza) stanno animando il Paese. Proteste di centinaia di migliaia di cittadini nate inizialmente dai movimenti femministi, ma che hanno coinvolto anche organizzazioni per i diritti LGBT+, studenti, agricoltori, nonne, tassisti, conducenti di mezzi pubblici e gran parte della cosiddetta società civile, allargando il terreno a rivendicazioni più ampie. Il 3 novembre Michal Dworczyk, capo dell’uffico del Primo Ministro Mateusz Morawiecki, ha riferito che i leader stanno prendendo tempo per discutere una sentenza e trovare una soluzione: “È in corso una discussione e sarebbe bene dedicare un po’ di tempo al dialogo e alla ricerca di una nuova posizione in questa situazione che è difficile e suscita forti emozioni”. Di fronte alla grande rabbia e combattività della piazza, il governo conservatore di Morawiecki (PiS) sta quindi prendendo tempo. Il premier il 5 novembre ha chiesto di avere colloqui con i manifestanti e con l’opposizione.

La legge del ’93. La sentenza del 22 ottobre del Tribunale costituzionale arriva in risposta a un appello di un centinaio di parlamentari, secondo cui l’interruzione di gravidanza in caso di malformazioni fetali vìola il principio della Costituzione che “protegge la vita di ogni individuo”. Anche se in Polonia la legge sull’aborto era già tra le più restrittive d’Europa. Firmata nel 1993, consentiva l’interruzione di gravidanza solo in tre casi: stupro, pericolo di vita per la donna e grave malformazione del feto. “Il 98% degli aborti legali effettuati in Polonia fino a oggi sono dovuti a malformazioni fetali”, ha dichiarato Antonina Lewandowska, attivista polacca per la salute sessuale e riproduttiva e per i diritti umani. Aggiungendo che ogni anno nel Paese tra le 100mila e le 200mila donne sono costrette a ricorrere all’aborto clandestino o ad andare all’estero, in genere Repubblica Ceca, Germania, Slovacchia o Ucraina, per praticarlo. In passato il governo aveva già provato a introdurre il divieto all’aborto, nel 2016 nel 2018 e lo scorso aprile, ma aveva dovuto desistere a causa delle proteste dei movimenti femministi. Questa volta invece, il governo di destra ha deciso di abbandonare la via parlamentare per delegare la questione al Tribunale costituzionale, che è composto per la maggior parte da giudici conservatori, molti dei quali nominati dal governo stesso grazie a diverse forzature, denunciate anche dalla Commissione europea che nel 2018 aveva deferito la Polonia per la violazione dell’indipendenza della sua Corte suprema.

Le proteste continuano. Nei giorni scorsi il presidente della Repubblica polacca Andrzej Duda, che ha sempre contestato l’aborto ma che ha dichiarato di comprendere le proteste, ha proposto al Parlamento di ridimensionare la modifica delle legge in modo minimo, consentendo l’aborto nei casi in cui sia alta la probabilità di morte del feto. Ma le attiviste dello “Sciopero delle donne”, con le leader Marta Lempart e Klementyna Suchanow, hanno respinto in toto la proposta. La prossima seduta della Camera dei Deputati è stata rimandata al 18 novembre. Intanto le proteste in Polonia continuano e uno sciopero generale è stato annunciato insieme a quelli fissati ogni lunedì. Ieri, 5 novembre, una mongolfiera si è sollevata sui tetti di Cracovia con il nuovo simbolo delle proteste, un “fulmine rosso”, che ha squarciato il cielo con una scritta: “Questa è la guerra”.

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