di Lelio Bizzarri*

È giusto curare un negazionista? È giusto che una persona che ha assunto comportamenti a rischio sottragga un posto in terapia intensiva ad un infermiere o ad un medico che si è contagiato mentre curava altri malati? Molti sui social hanno risposto di no, argomentando che in un momento di risorse limitate queste devono essere riservate a chi se le merita, ai più virtuosi.

Bene. Sembra proprio che il ragionamento fili, eppure è proprio questo il seme dell’odio: giustificare, attraverso considerazioni apparentemente etiche e razionali, un estremo atto di violenza come quello di negare le cure a chi sta male. E tanto più questo ragionamento ci sembra sacrosanto tanto più questo principio attecchirà nella profondità del nostro animo.

Ma se per un attimo ci soffermassimo a riflettere, ci renderemmo conto che affermare che non merita cure chi si contagia, perché non indossa la mascherina, equivale a dire che non spettano neanche a chi fa del male a sé o ad altri a causa di una guida scorretta. Soprattutto, dobbiamo renderci conto che l’odio è un’erba infestate. È un sentimento cieco ed irrazionale che non può essere contenuto o strumentalizzato e che prima o poi travolgerà anche coloro in nome e a protezione dei quali si è ingaggiata la crociata.

In un passato mai abbastanza lontano, sembrava etico e razionale sopprimere persone con disabilità fisica e intellettiva, oggi potrebbe sembrare logico isolare le persone più a rischio di sviluppare la forma grave della patologia per “proteggerle”, mentre tutti gli altri continuano la loro vita.

All’inizio della pandemia è stato commesso un errore di comunicazione che potrebbe avere conseguenze tragiche: si è affermato che la forma grave della malattia viene sviluppata quasi esclusivamente da persone anziane, immunodepresse o con patologie già in essere.

Da questa prospettiva sembrerebbe che per salvare la vita di un pugno di vecchi e di poveri diavoli, malati o disabili, destinati comunque alla morte o ad una vita marginale, l’Italia sia arrivata sull’orlo del tracollo economico, milioni di bambini non hanno potuto andare a scuola e giocare tra di loro, i giovani siano stati privati di amore, sesso e divertimento. La parte virtuosa e produttiva del Paese si sarebbe sacrificata per misericordia o per un eccesso di buonismo dello schieramento politico al governo.

Ma la retorica, la solidarietà nazionale, i canti e gli applausi dai balconi potevano andar bene a marzo quando eravamo frastornati da provvedimenti senza precedenti e dal martellamento dei bollettini e degli inviti a stare a casa. Dopo che a maggio pensavamo di esserci svegliati da un brutto incubo, oggi, come nei più classici film horror, ci accorgiamo che l’incubo era realtà e che il risveglio era il sogno.

Per depotenziare il furore di chi vive i provvedimenti coercitivi come ingiustizie, la paura di chi si sente impotente e lo scetticismo di chi, come San Tommaso, non crede se non tocca, servono risposte, notizie coerenti ed esaustive, soprattutto soluzioni alle problematiche generate dalle misure di contenimento dei contagi.

Innanzitutto, bisognerebbe cominciare a svelare le condizioni dei 268626 “guariti/dimessi” (stando ai dati del 26 ottobre), per bilanciare l’immagine del dio Ibrahimovic che a meno di un mese dal contagio, sigla la doppietta nel derby. Sarebbe il caso di dire che il Covid-19, laddove non uccide, lascia uno strascico di patologie cardiache, respiratorie, renali, epatiche e neurologiche in molti casi con conseguenze invalidanti.

Oltre a questo si deve tenere presente il trauma psicologico indotto dall’esperienza della malattia grave, del ricovero in terapia intensiva, così come dell’assistere alla morte di altri malati. Se si considera, inoltre, che tale trauma si può estendere anche a chi assiste alla morte o ad un evento che rischia di uccidere un proprio caro, si possono comprendere le reali proporzioni della tragedia che stiamo vivendo.

Quello che ci si prospetta è un periodo indefinitamente lungo, che richiederà la capacità di adattarsi per continuare a vivere mantenendo coesione e solidarietà sociali: fattori protettivi irrinunciabili per la salute fisica e mentale. Per fare questo bisogna smettere di giudicare, bensì è necessario interpretare le ragioni genuine di coloro che sono spaventati e disperati, distinguendoli oculatamente dai facinorosi che scambiano le piazze per stadi e che vanno isolati proprio come si fa con i virus.

*Psicologo e psicoterapeuta

Articolo Precedente

Papa Francesco sulle unioni civili potrebbe fare chiarezza. Sennò di fatto non cambierà nulla

next
Articolo Successivo

Coronavirus, in una società consumistica qual è il vero valore dell’arte?

next