Il cortometraggio di Gabriele Muccino sulla Calabria, quello con Raoul Bova che sbaglia il congiuntivo e dice alla propria fidanzata: “Dove vuoi che ti porto?”, sta facendo discutere una delle bolle più permalose dell’infosfera: i calabresi. Sui social infuria infatti la polemica a proposito del lascito di Jole Santelli, scomparsa qualche giorno fa. Ma com’è questo “Terra mia”?

Muccino ha cercato di proporre una sorta di oleografia, le cui componenti fondamentali sono il mare, il sole, gli agrumi; tuttavia non sembra uno spot sulla Calabria. Siamo in pieno mediterraneismo, ovvero in quella tendenza culturale che si sdoppia, dapprima come discriminazione e stereotipizzazione dell’alterità dei popoli del Sud e del Mediterraneo, poi come rovesciamento semantico che prende quegli stereotipi e li esalta come elementi identitari, da rivendicare. Così il mediterraneismo del secondo tipo, che sembra emancipatorio, cercando di rovesciare lo stereotipo e in realtà non facendo altro che rafforzarlo propone i cliché più triti, che spesso sono stati usati contro un luogo e il suo popolo.

È l’inversione dello stigma: la coppola, da tanti anni di mafia immaginaria e cinematografica trasformata in elemento distintivo dei boss, qui diventa il copricapo che identifica il calabrese (o il siciliano) doc; gli asinelli, che Muccino avrà fatto fatica a trovare, da mezzo di trasporto dei poveri ‘cafoni’, quando il glottologo Gerhard Rohlfs si inerpicava per andare a registrare le voci del dialetto calabrese o ai tempi di mio nonno, a emblema della resistente lentezza meridiana di fronte alla velocità del capitalismo oceanico che tutto macina e distrugge. Il mediterraneismo è questo doppio movimento, prima negativo poi positivo, che produce però una narrazione in entrambi i casi falsante, straniante.

Ora, è evidente che non si potesse chiedere a Muccino un approccio documentaristico: è un prodotto commerciale che dovrebbe servire a far andare la gente in vacanza in Calabria. Eppure esso soffre di mediterraneismo, dal momento che ritroviamo pienamente nel corto alcune sue caratteristiche: estetizzazione, sospensione del tempo storico, omogeneizzazione delle differenze, per esempio.

Partiamo da quest’ultimo aspetto (ma i vari punti sono legati tra di loro): il corto di Muccino potrebbe essere stato girato ovunque in un posto del Sud, dalla Sicilia (la sicilianizzazione del Sud d’Italia peraltro è un fenomeno mediatico piuttosto consistente, complice uno storico vantaggio narrativo siculo, ma anche i recenti successi camilleriani) alla Tunisia. “Una faccia, una razza”, vien fatto di dire: al Sud tutto si somiglia, sembra voler comunicare Muccino.

Questo ha a che fare con la sospensione del tempo storico: la storia non c’è, sparisce, e il tempo sembra sospeso poiché ancora i ragazzi vanno a dorso di mulo e ci sono i pergolati e la gente con le bretelle e sembra di stare in un romanzo di Vitaliano Brancati (definitivo Lo statale jonico: “Il corto vince l’Oscar 1950”).

Come nello sceneggiato Montalbano, con tutto il corredo di interni ed esterni senza tempo, di arredamenti ‘tipici’ di un generico Sud rimasto ai tempi delle nostre nonne, con la bella credenza di una volta, il pavimento di maiolica, l’assenza della plastica, la ‘stanza dello scirocco’ e neanche un mobile Ikea. Come nel reportage di Pier Paolo Pasolini La lunga strada di sabbia, quando per parlare della Calabria il poeta deve dire che lo Ionio è ‘preumano’, dunque pre-istorico (e anche ‘sottoumano’). Perché è poetico solo ciò che è passato.

Del resto a ben vedere, la storia delle vacanze ci narra di un Nord Europa bisognoso di esperienze adamitiche, cioè di andare al Sud perché solo al Sud si poteva sentire l’esperienza primigenia di essere il primo uomo a stampare l’arena con il proprio piede (e dunque di non avere i freni inibitori delle civiltà sviluppate del Nord, di potersi lasciar andare alla crapula dionisiaca).

Infine, l’estetizzazione, ovvero il racconto che ignora la realtà per rappresentarne un’immagine narrativa. Pasolini stesso – che pure vi indulgeva – lo sapeva bene, delle proprie “atroci debolezze di estetizzanti”, nel suo sguardo verso il Sud. Ma Muccino non è Pasolini e non gli è nemmeno richiesto. Resta da vedere solo se lo spot sarà efficace, nonostante il suo mediterraneismo.

Ps: Ah, quello sui calabresi permalosi è ovviamente un cliché (ma gli stereotipi a volte non sono semplicemente veri?).

Articolo Precedente

Chiara Ferragni e Fedez diventano ambasciatori di Conte. Ecco perché la strategia è giusta

next
Articolo Successivo

Il Sole resterà ancora in Confindustria, Bonomi: “Il giornale non è in vendita, ho fatto un esposto in Consob sulle indiscrezioni”

next