Mascherine & autonomia. E’ in queste due parole che si condensa lo scontro-non scontro tra Matteo Salvini e Luca Zaia, quell’oscillazione del consenso pubblico che sembra premiare il secondo rispetto al primo, quel guardarsi da lontano che accompagna da mesi le mosse del segretario leghista e del governatore veneto lanciato verso la riconferma (sarebbe la terza volta) nelle elezioni regionali di settembre. Adesso Salvini sembra aver cambiato tattica, raccomandando ai giovani di rispettare la scienza e usare la testa, a costo di indossare quelle mascherine che lui ha invece ostentatamente e in modo provocatorio rifiutato in incontri pubblici, kermesse politiche, incontri ravvicinati e conferenze negazioniste. Le prediche riguardo all’uso delle mascherine, al contrario, Zaia le sta dispensando quasi quotidianamente, considerandole il primo presidio difensivo contro il Coronavirus. E così, mentre la popolarità di Zaia è cresciuta, al punto che il “modello veneto” è stato additato ad esempio nella lotta alla pandemia, quella del segretario è calata, in parallelo a quella del partito.

L’approccio alla mascherina è un marcatore della diversità dei due personaggi ormai in concorrenza, anche se Zaia non ammetterà mai il dualismo e Salvini continuerà a lodare il presidente della giunta del Veneto, additandolo come una risorsa del partito, il che è una garanzia per la sua permanenza a Venezia. Il segretario gioca la sua immagine sull’approccio anti-sistema, Zaia sulla propria affidabilità istituzionale. Il massimo che possa dire contro gli extracomunitari è che “i focolai nelle caserme e nelle strutture per i migranti in Veneto sono la prova provata che questi immigrati, ospitati anche senza titolo, devono essere mandati a casa”.

Non a caso, Salvini cita Zaia (vedasi Facebook con un recentissimo video) quando quest’ultimo attacca i clandestini portatori di Covid-19, mai quando il governatore chiede l’autonomia, il che accade praticamente da tre anni, senza risultato. E questo rischia di essere il suo vero fiasco di legislatura, perché non ha portato a casa nulla, nonostante gli oltre 2 milioni 200 mila voti raccolti nel referendum dell’ottobre 2017 a favore della concessione al Veneto di 23 deleghe amministrative da parte dello Stato. E pensare che il governo giallo-verde aveva un ministro deputato all’autonomia come Erika Stefani.

Per questo la Lega in Veneto sta battendo i pugni con gli alleati. Zaia ha predisposto un “documento sull’autonomia” e chiede da un mese a Forza Italia e Fratelli d’Italia di firmarlo. Finora non ha portato a casa nulla, anche se Forza Italia ha inserito la parola “autonomia” nel logo elettorale. I Fratelli d’Italia, con la segretaria Giorgia Meloni, hanno rilanciato chiedendo l’appoggio sul presidenzialismo. Ora il direttorio della Lega (composto dall’ex ministro Lorenzo Fontana, da Zaia, dall’ex ministro Stefani, dall’assessore Roberto Marcato e da Nicola Finco, capogruppo in Regione) ha lanciato un ultimatum: firmare senza condizioni il documento sull’autonomia. “A farlo devono essere i leader nazionali. O così o si corre da soli”. Quest’ultima è la tentazione di Zaia che sa di poter vincere anche senza gli alleati. Per questo gioca al rialzo. Ma sa anche che difficilmente Salvini glielo lascerà fare. Infatti, il coordinatore veneto FdI, Luca De Carlo, ha risposto velenosamente: “Il presidenzialismo non è uno scambio, semplicemente gli alleati si sosterranno a vicenda. E non è colpa nostra se l’autonomia non è stata ancora accordata al Veneto. Ricordo che FdI, dal momento in cui è stata avviata la trattativa sull’autonomia, non ha avuto incarichi di governo”.

Messaggio indirizzato a Salvini e ai leghisti veneti che ritengono il segretario troppo tiepido sull’autonomia e troppo impegnato a costruire un partito nazionale, guardando ai bacini elettorali del Meridione. Luca Zaia che andasse alle urne regionali da solo costituirebbe uno strappo nella casa del centrodestra, che Salvini non può autorizzare, se non vuole far saltare gli equilibri nazionali nel centrodestra e le sue ambizioni. Alla fine si metteranno tutti d’accordo: Zaia avrà un pezzo di carta con l’impegno autonomista e Salvini manterrà intatte le sue chances di guida del centrodestra, con l’obiettivo di tornare al governo.

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