Nell’era delle fake news e degli acchiappaclic il calciomercato per i poveri tifosi si trasforma spesso in un incubo: montagne russe fatte di picchi di entusiasmo quando sui social compare “Manca solo la firma del campione” e abissi di scoramento quando si scopre che il campione in questione è beatamente a bordo piscina, spritz alla mano, e che la soffiata “praticamente certa” era arrivata dal cugino del procuratore che aveva incontrato il benzinaio che aveva visto l’autista del campione sotto la sede del club.

Ma esisteva un’epoca in cui senza social, senza clickbait, “ha firmato” voleva dire che effettivamente l’acquisto era ufficiale. O quasi. Eh già perché “Figo ha firmato” ad esempio, ha fatto esultare per settimane i tifosi della Juventus, e pure quelli del Parma. Sì, il più noto caso di “plurifirma” fu proprio quello del portoghese: astro nascente del calcio lusitano, pareva pattinare sull’erba del vecchio Alvalade con la maglia dello Sporting Lisbona, seminando avversari e regalando una Taça de Portugal ai biancoverdi. Con quell’eleganza e quella capacità di tenere la palla attaccata al piede attira l’attenzione dei grandi club, e l’Eldorado del calcio all’epoca era la Serie A.

Il Parma di Tanzi contende scudetti e campioni alla Juve: il ds Pastorello in estate si muove per il portoghese trattando col suo procuratore e torna in Italia con un contratto firmato. Ma lo vuole anche la Juve: c’è l’amico Paulo Sousa che preme per portarlo in bianconero mentre Moggi si accorda con lo Sporting per 6 miliardi. E in autunno Figo firma anche con la Juventus. “Avevo ricevuto forti pressioni e firmai, erano cifre mai viste né sentite, ma quel foglio non aveva nessun valore”. Non è l’ignaro Leo Junior in L’allenatore nel pallone, ma quasi.

In ogni caso “Figo è nostro” è l’annuncio che compare sulle pagine dei quotidiani sportivi del gennaio 1995: il problema è che è un annuncio simultaneo di due squadre, Parma e Juventus. Dal canto suo Figo rinnega l’accordo con la Juventus ed è convinto che giocherà nel Parma. Dopo pochi giorni dalla firma del contratto con i bianconeri, aveva inviato una lettera con un atto notorio a Torino: “Con voi non gioco, il contratto è nullo”. Ma Moggi, Bettega e Giraudo danno battaglia e la questione finisce davanti alla Lega Calcio: la mediazione si conclude con la rinuncia di entrambi i club a tesserare l’ala portoghese e il divieto per Figo di giocare in Italia per due anni.

E trascinandosi dietro la tendenza a scatenare problemi a ogni firma di contratto (da ricordare la testa di maiale che i tifosi del Barcellona gli tirarono contro quando passò al Real Madrid) Figo in Italia ci arriverà 10 anni dopo, all’Inter, e quelle firme sui contratti saranno richiamate in schermaglie con Luciano Moggi. E c’è sempre di mezzo Moggi in un altro caso di “plurifirma” italiano: 13 anni prima di Figo, estate 1982, il Torino, con il suo giovane ds mette gli occhi su un fantasista sopraffino che gioca in Jugoslavia, al Sarajevo, Safet Susic. Lo tessera, accordandosi con l’agente. Ma intanto l’Inter, come la Juventus nel caso Figo, si accorda con la società. Risultato: due contratti per Susic, entrambi nulli, col fantasista che deve dire addio all’Italia finendo al Paris Saint Germain e anche nel film Il favoloso mondo di Amelie, quando per la protagonista il dispetto più grande da fare a un vicino diventa spostare l’antenna della tv, negandogli il piacere delle giocate di Susic.

E poi c’è Goran Vlaovic: bomber croato del Padova che Ferlaino aveva scelto per l’attacco del Napoli già nella primavera del 1996. Dopo la firma di un precontratto la società azzurra ne annunciò l’acquisto in estate, ma il calciatore impegnato negli europei inglesi, dal ritiro della Croazia, nicchiava. La società azzurra lo accusava di averne firmati diversi, di precontratti, e minacciava una battaglia legale. Quanti accordi avesse firmato e con chi non si sa, ma alla fine Vlaovic scelse il Valencia, pagando una penale per non aver rispettato il primo accordo sancito con la società azzurra. Telenovelas di un calciomercato che fu, che oggi fanno quasi sorridere anche per l’ingenuità dei protagonisti, sicuramente più abili a maneggiare la palla che la penna.

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