Urs Althaus ha 28 anni, è stato un modello a New York e da qualche tempo sta provando a fare l’attore. Non ha ancora recitato da protagonista in un film di successo. È il 1984 quando si presenta nello studio di Sergio Martino, regista di lungo corso.“Cerco un attore che sappia anche giocare a pallone”, dice Martino ad Althaus. “Signore, allora l’ha trovato”.
“Gli attori dicono sempre così”. Urs intanto vede un pallone appoggiato sulla mensola, lo prende e inizia a palleggiare. Il ruolo di Aristoteles, per il film che diventerà un cult “L’allenatore nel pallone” con Lino Banfi nella parte di Oronzo Canà, è suo.

Il 7 agosto Bibliotheka Edizioni, che in autunno ha in uscita anche un libro sull’Allenatore nel pallone, pubblicherà la sua autobiografia “Io, Aristoteles, il negro svizzero – La mia vita attraverso successi e fallimenti” (prefazione di Francesco ‘Ciccio’ Graziani). Althaus è nato da una madre svizzera e un padre nigeriano che non l’ha mai riconosciuto. Non è brasiliano, ma è perfetto per interpretare Aristoteles, il calciatore scoperto a Rio e portato in Italia a giocare nella Longobarda. La serie A aveva riaperto le frontiere agli stranieri solo nel 1980. E da allora erano arrivati nel nostro campionato campionissimi e bidoni.

Urs, in gioventù lei aveva tentato la carriera da calciatore in Svizzera, dove è nato.
“Sì, era il mio sogno da bambino. Ho giocato a Basilea e poi sono entrato nel FC Zurigo, dove ero nella squadra riserve. Non sono diventato professionista per colpa di un banale incidente ad un braccio durante un’amichevole. Ho lavorato come modello, ma io volevo essere Pelé”.

Parecchi giocatori arrivarono in Italia proprio dal Brasile.
“Quando ero piccolo Pelé era famosissimo anche in Svizzera, io ero l’unico nero della mia città, normale che mi ispirassi a lui. Mio zio mi parlava sempre della Perla Nera e di un altro brasiliano che si chiamava Mazzola, mi piaceva il suo nome”.

Mazzola, conosciuto in Italia come Altafini, avrebbe concluso la sua carriera proprio in Svizzera. Ha altri ricordi sul Brasile?
“Con Sergio Martino, Lino Banfi, Gigi e Andrea siamo stati a Rio tre settimane per le riprese. In volo mi sono studiato il copione, perché venivo da un altro film e avevo avuto poco tempo. Mi accorsi subito che era scritto bene. In Brasile è stato bellissimo. È stato divertente pranzare e cenare tutti i giorni con questi personaggi. Ridevo, ridevo, ridevo sempre. Insieme siamo andati anche al Maracanà a vedere il Flamengo. Avevamo posti pregiati in tribuna, poco davanti c’erano ragazze stupende che ballavano il samba”.

Nella scena in cui è in camera con Oronzo Canà, Aristoteles piange per la nostalgia di casa. Ha la saudade.
“È stato Lino, che sempre mi ha aiutato durante le riprese, a dirmi di recitare cercando di tirare fuori le mie emozioni. La mia vita. Lino è un attore fantastico, ma soprattutto un grande uomo con un grande cuore”.

Nel film ha girato con calciatori della Roma, che l’anno prima aveva vinto lo scudetto. Graziani, Ancelotti, Pruzzo, Chierico…
“Durante una pausa delle riprese Ciccio Graziani mi ha chiesto se volevo giocare un po’ con loro. Ne fui orgoglioso, fu un’esperienza incredibile. Nel film io tiro una punizione senza controfigure, fui io a impormi con il regista perché la scena fosse reale. Solo che la prima la calciai in curva, per fortuna Ancelotti mi diede i consigli giusti sulla postura e così riuscii ad aggirare la barriera e a fare gol”.

Articolo Precedente

Sport, Spadafora vuole cancellare le porte girevoli tra cariche federali e politiche. Le Federazioni resistono: e Lotti guida la rivolta

next