Un busto del Pincio imbrattato di vernice rosa, il nome di una strada modificato e l’appello al cambio di denominazione di una futura stazione della metropolitana. La protesta dei sostenitori del movimento Black Lives Matters è arrivata a Roma e ha colpito alcuni dei tanti simboli delle campagne d’Africa a cavallo fra il XIX e il XX secolo. L’azione è avvenuta alle prime luci dell’alba, come rivendicato sulla pagina Facebook della Rete Restiamo Umani.

I manifestanti – sulla scorta di quanto avvenuto a Milano ai giardini Indro Montanelli – hanno gettato della vernice rosa sul busto in onore del generale Antonio Baldissera, capo delle truppe del Regno durante la campagna di Eritrea del 1888 e poi governatore della colonia italiana. Sul posto sono intervenuti questa mattina gli agenti del commissariato Celio e della Digos. La statua gli fu dedicata subito dopo la sua morte, nel 1917, e inserita fra i 229 busti presenti nel celebre parco del colle che si affaccia su piazza del Popolo, insieme a quelli di letterati e scienziati come Alessandro Manzoni, Alessandro Volta e Torquato Tasso.

Il busto, pur essendo fra i meno antichi tra quelli presenti nell’area verde alle spalle di Villa Borghese, è comunque di marmo travertino e dunque di un certo valore (anche artistico): per questo è stata interessata anche la Soprintendenza ai Beni Culturali per capire l’entità del danno che i manifestanti avrebbero apportato al monumento. “È fondamentale – si legge nel post di rivendicazione – che il ruolo che queste figure hanno ricoperto nella storia venga smascherato e rinarrato senza nessuna celebrazionemonumentale’, ponendo fine al racconto colonialista ad opera degli oppressori”.

Per lo stesso motivo, i manifestanti hanno compiuto un’altra azione, stavolta nei pressi della basilica di San Giovanni in Laterano, andando a coprire la scritta di via Amba Aradam per sostituirla con i nomi di George Floyd – l’afroamericano soffocato negli Stati Uniti da un poliziotto durante un arresto – e di Bilal Ben Messaud, moto a Porto Empedocle il 20 maggio “mentre cercava di raggiungere terra, fuggendo dal confinamento forzato della nave”. Il nome dell’Amba Aradam richiama infatti alla celebre battaglia del 1936 combattuta dalle truppe fasciste in Etiopia, alla guida dell’allora generale Pietro Badoglio, vittoria che avvenne – secondo gli storici – anche grazie all’ordine di sganciare bombe di gas sulle colonne etiopi in ritirata.

Nei pressi di via Amba Aradam, nel quartiere San Giovanni, è in costruzione una nuova fermata del Metro C di Roma, che dovrebbe essere pronta entro il 2024. L’attuale nome del progetto della stazione-museo è “Amba Aradam-Ipponio” e i manifestanti chiedono alla sindaca Virginia Raggi che si rinunci all’intitolazione, trovando un nome alternativo. “Ci stavamo già pensando, anche perché, al di là di tutto, la stazione non è su viale dell’Amba Aradam”, confida a ilfattoquotidiano.it l’assessore capitolino ai Trasporti, Pietro Calabrese, che quando era ancora consigliere comunale si oppose all’intitolazione di una strada all’ex segretario del Msi, Giorgio Almirante, e in favore del cambio di toponomastica ove vi fossero intitolazioni ai firmatari del Manifesto della Razza del 1938.

L’azione dei sostenitori del Black Lives Matters al cantiere Metro C ha così fatto scattare anche il toto-nomi. In Campidoglio si pensa, eventualmente, di lasciare “Ipponio”, dal nome della strada su cui si trova effettivamente la stazione, oppure a “Porta Metronia” dal quartiere che la ospita. Altro nome gettonato, nel centenario della sua nascita, è “stazione Alberto Sordi”, visto che la villa-museo dell’attore dista poche centinaia di metri. Anche se su Twitter c’è già chi scherza (ma neanche troppo): “Chiamiamola stazione Francesco Totti”, in onore all’ex capitano della Roma nato e cresciuto nelle stradine in cui campeggia anche un suo murale.

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