Gli occhi spiritati di Schillaci per un rigore non dato. La serpentina di Baggio contro la Cecoslovacchia. Le feste in piazza dopo le vittorie azzurre. Notti magiche prima della serata tragica. Napoli divisa. Maradona e Caniggia e Goycochea. Poi l’uscita sbagliata di Zenga e la delusione, forse la più grande di sempre, per l’eliminazione in semifinale. Sono le immagini di copertina di un ipotetico libro dal retrogusto amaro. Titolo possibile: ‘Mondiali Italia ’90, storia di un’occasione persa’. Perché l’eredità del torneo non si misura con il misero terzo posto della nazionale di Vicini. Il flop fu soprattutto organizzativo: tra costi esplosi e ritardi, le opere realizzate (almeno quelle che non sono state abbattute) erano e restano l’emblema dello spreco. Eppure fu un’edizione epocale, anche e soprattutto dal punto di vista sociale e geopolitico. A trent’anni esatti da allora, raccontiamo – a modo nostro – l’Italia, l’Europa e il mondo di quei giorni. Le storie, i protagonisti, gli aneddoti. Di ciò che era, di cosa è restato. (p.g.c.)

Un grande lago, il cielo grigio e poi il nulla. Maggio 1990, l’Argentina di Bilardo e Maradona è in ritiro sul lago di Thun, in Svizzera. Tra un mese inaugurerà Italia 90, dove deve difendere la Coppa conquistata quattro anni prima in Messico. Ma nell’hotel in stile alpino i volti sono scuri: forse chiedendo a Diego e ai suoi compagni di scommettere sul loro cammino in Italia, in pochi avrebbero puntato qualche pesos o qualche franco svizzero. Il clima è teso: della spedizione vittoriosa in Messico restano in pochi, ovviamente Diego, Burruchaga, Batista, Giusti, Ruggeri, Olarticoechea e Pumpido. Gli altri sono new entry. E in conferenza pre mondiale Maradona ammette: “In Messico c’era più tecnica, oggi siamo più forti atleticamente. Abbiamo dei difetti, non lo nascondo, ma c’è tempo per limarli”.

Già, ma pare che tutto remi contro: manca un attaccante. Dezotti non è un gran bomber e Balbo è al suo primo mondiale, gioca nell’Udinese con cui è appena retrocesso in B, a digiuno dunque di grandi appuntamenti. In molti vorrebbero il ritorno di Ramon Diaz in albiceleste, visto che il puntero triste è in gran forma al Monaco: per Diego neanche a parlarne però. Il capitano dice la sua sulle convocazioni e su Diaz c’è un veto. Persino il presidente dell’Argentina Menèm, alle prese con una gravissima crisi finanziaria nella nazione, telefona a Maradona per chiedere il nulla osta divino per il “puntero triste”, ma inutilmente.

L’idea del pibe, condivisa da Bilardo, è quella di far giocare Jorge Valdano, tra gli eroi di Messico ’86. C’è un dettaglio però: l’attaccante, ormai 35enne, ha giocato l’ultima partita nell’87, poi si è fermato per un’epatite senza mai più tornare a giocare. Ma Bilardo ci crede, Maradona pure e anche Jorge alla fine decide di giocarsi quell’ultimo mondiale. Di Valdano è pure la scelta di andare in ritiro a Thun, sgraditissima a Maradona: “C’è solo l’albergo e un grande lago. Cosa porto in regalo alle mie figlie? Un litro d’acqua?”. Valdano però s’infortuna in allenamento (secondo alcuni i guai dell’attaccante erano cominciati ben prima, nella gara amichevole per l’addio al calcio di Zico) e deve dire adios al mondiale. Di quel ritiro Bilardo silura anche “Tata” Brown, altro pretoriano di Diego, e i rapporti tra i due si fanno tesissimi. “Da solo non posso fare molto”, dirà Maradona. Al posto di Valdano viene convocato un centrocampista, Gabriel Calderon. Non Diaz, per evitare che la situazione deflagri definitivamente. È un’albiceleste nervosa, sfiduciata, quella che arriva nel ritiro di Trigoria e i nodi vengono al pettine nella gara inaugurale, quando i campioni del mondo in carica perdono contro gli sconosciuti del Camerun, peraltro rimasti in nove.

Diventa già decisiva la seconda gara, con l’Unione Sovietica di Lobanovsky che pure si gioca tanto avendo perso all’esordio con la Romania. Bilardo cambia tutta la difesa: fuori la vecchia guardia, e dunque Fabbri, Ruggeri, Lorenzo e Sensini, e dentro Simon, Monzon e Serrizuela con una difesa a tre. Fuori pure Balbo, con Caniggia a far coppia con Diego davanti. L’Argentina gioca male e perde Pumpido, l’Urss peggio e dopo un calcio d’angolo Troglio lasciato completamente da solo in area trova il vantaggio. Ma riesce a far peggio l’Urss quando si ferma completamente nel secondo tempo perdendosi Burruchaga, che fa il 2 a 0. Fondamentale però sempre Maradona, ancora una volta con la mano, su un colpo di testa di Kutzenosov a pochi secondi dalla fine.

Per qualificarsi matematicamente la Seleccion dovrebbe battere la sorpresa Romania, ma al San Paolo Diego non brilla come quando è in maglia azzurra: il vantaggio arriva da calcio d’angolo ancora, con Monzon. Balint poco dopo pareggia e qualifica la Romania. L’Argentina invece deve prendere la calcolatrice e aspettare le altre visto che è terza. La sorte, come spesso avverrà in quel mondiale, anche quando pare avversa (vedi infortunio Pumpido) è con Diego e i suoi e la qualificazione arriva come miglior terza, ma c’è il Brasile ad attendere i campioni del mondo in carica. Diego, contro i suoi amici Careca e Alemao.

In campo non c’è partita: i verdeoro, in un’inedita versione difensivista targata Lazaroni, partono forte e vengono fermati da Goycochea, che ha preso il posto di Pumpido, e soprattutto dai pali. Leggenda narra che anche qualche borraccia dal misterioso contenuto contribuisca a tener a freno il Brasile, in particolare Branco, ma chissà. Nel secondo tempo i pali graziano ancora “Goyco” e fermano Careca e Alemao. Quando la Seleccion è ormai in ambascia e il gol verdeoro nell’aria, arriva il momento che ancora oggi vale un coro per gli argentini. “Quando Diego te gambeteò, quando Cani te vacunò”: Maradona prende palla a centrocampo e salta Alemao, evita un intervento degli avversari e serve Caniggia in profondità. Il “figlio del vento” salta Taffarel e segna portando l’Argentina ai quarti.

A Firenze Diego e compagni si trovano di fronte un altro Brasile, quello d’Europa: così era soprannominata la fortissima Jugoslavia di Savicevic, “Pixie” Stoijkovic, Boksic, Prosinecki e tanti altri campioni, ancora uniti, ancora per poco. Ne vien fuori una gara brutta, come sempre d’altronde quando quell’Argentina è in campo,e neppure ai supplementari si sblocca. Ai rigori comincia la favola di Goycochea, quando, dopo che Stoijkovic e addirittura Maradona sbagliano i loro tiri, il lungagnone argentino neutralizza il tiro di Brnovic e poi quello del difensore bosniaco Hadzibegic, mandando l’Argentina in semifinale.

Inutile ricordarla, quella semifinale di Napoli, tra l’amore del pubblico di casa per Diego, l’uscita di Zenga e “Goyco”, che avrebbe dovuto fare da secondo a Pumpido, ancora protagonista. Ma tutto ha un limite e vedere quella brutta Argentina campione del mondo sarebbe stato effettivamente troppo. L’Olimpico subissa di fischi Maradona dopo le coccole napoletane: Diego replicherà con un labiale in un castigliano mai stato così comprensibile. E in finale contro la Germania Ovest, in una gara manco a dirlo, brutta peggio di un’entrata di Monzon, sarà proprio un rigore calciato da Brehme, su cui neanche le mani miracolose di Goycochea potranno nulla, a decidere l’epilogo di Italia 90, fermando Maradona, Bilardo e la Seleccion a un passo dalla grazia. Da troppa grazia.

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Italia 90, 30 anni dopo – Il dramma di Pumpido, le gesta di Goycochea: il portiere di riserva che eliminò gli Azzurri

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