Dalla bufera da Covid saremmo dovuti uscire tutti più saggi e consapevoli. Era quello che stava scritto sui muri e sui social: “Non torneremo alla normalità, perché la normalità era il problema”. Eppure la normalità è tornata, forse peggio di prima. Più auto, più incidenti, più morti, più paranoie, più rifiuti usa e getta, più alienazione e meno diritti per i bambini.

Partiamo dalle auto: invece che riconvertire il settore automobilistico, puntando a produrre meno auto (ce ne sono fin troppe invendute!) e spingere la produzione verso mezzi pubblici (tram, bus, treni), vengono dissipati 6 miliardi di euro come aiuti alla Fca, senza vincoli ambientali. Multinazionale che non ha neppure sede in Italia, ma in Olanda e Regno Unito, e ha risparmiato miliardi di tasse.

Un emendamento a firma Leu e Pd propone addirittura incentivi fino a 4mila euro per l’acquisto di auto (Euro 6) con motore endotermico, ma che hanno emissioni di CO2 superiori a 61 g/km (un controsenso inaudito!). Una logica vecchia di 70 anni.

Tutti parlano di svecchiamento, nessuno di dimezzare il numero delle auto. E così l’Italia resta uno dei paesi al mondo più invaso dalle auto (una ogni maggiorenne) e col tasso di mortalità per incidenti stradali altissimo. Così come impera la cultura autocentrica, in Italia impera la cultura adultocentrica. Già prima del Covid i bambini avevano poco spazio e pochi diritti. Durante e dopo il Covid, c’è stato un ulteriore balzo indietro.

Durante il lockdown i diritti de più piccoli si sono pressoché azzerati. Segregati in casa a oltranza, senza un briciolo di attenzione alla loro psiche e ai loro bisogni sociali. Otto milioni di bambini, di qualsiasi estrazione sociale, di qualunque metratura fosse la loro casa, villa o buco, dovevano stare segregati 24 ore su 24 per 2 mesi. Vigili, carabinieri e volontari facevano a gara per mostrarsi inflessibili, con i bambini che passeggiavano al parco, o che giocavano sotto casa a palla su un brandello d’erba. Mentre i dati dimostravano e dimostrano il contrario in tutto il mondo, che i bambini si ammalano poco e non sono grandi veicoli, soprattutto se si trovano in luoghi aperti e salubri.

La Dad (didattica a distanza) ha ampliato le divaricazioni sociali: tanti bambini non sono riusciti a seguire, capire, intervenire, hanno perso motivazione, stimolo e protezione. Non si poteva fare altrimenti? Eppure in altri paesi, a partire da fine aprile, riaprivano le scuole, magari all’aperto e in piccoli nuclei educativi, magari privilegiando i bambini più in difficoltà.

Il punto è che da noi, anche prima del Covid, la scuola era troppo legata a pratiche (certo, pur con meravigliose eccezioni) che non hanno aiutato la ripresa in tempo di pandemia:
lezione frontale per lo più in aule chiuse, affollate, bambini fino agli 11 anni (e oltre) accompagnati e ripresi dai genitori in auto. Benché la legge permetta l’uscita autonoma, nella stragrande maggioranza delle scuole primarie sono gli stessi regolamenti di istituto a obbligare i genitori a prendere i bambini.

In Belgio, così come in Svizzera o in altri paesi oltralpe, i bambini vanno e vengono da scuola da soli, in bici, bus, o monopattino, il traffico è ridotto e ci sono ampie zone pedonali davanti alle scuole: questo implica che le riaperture delle scuole non causano lo spostamento (e assembramento) di nonni e genitori.

La riapertura delle scuole, da noi, a settembre, causerà inevitabilmente un aumento del traffico, dell’inquinamento e probabilmente dei contagi, non a causa dei bambini ma dei genitori e dei nonni che si assembreranno agli ingressi, e inquineranno l’aria con le loro auto parcheggiate a pochi metri (sopra ai marciapiedi e col motore acceso).

Invece di pensare ad una scuola nuova, all’aperto, non più frontale, invece di dare finalmente libertà di movimento ai bambini creando zone pedonali e strade scolastiche, ci si arrovella nella vecchia logica di paura. Il ministero, consigliato dal Comitato tecnico scientifico, già dice che i bambini saranno obbligati alla mascherina, si pensa anche a barriere di plexiglass tra banchi, dove resteranno i bambini, seduti e immobili, per ore, oppure a visiere. Una scuola alienata e alienante.

Pellai, così come altri medici e psicoterapeuti, lanciano l’allarme: “l’idea è la meno sostenibile, la meno attuabile, la meno a misura di bambino tra quelle che si possono avere.” Stiamo prendendo una brutta china. La fobia della malattia è spinta al parossismo.

Se, come è vero, la psiche influenza la nostra risposta immunitaria, è legittimo far vivere e crescere una popolazione nel panico, nell’ossessione, nella compulsione, nell’ipocondria, indebolendo così le difese immunitarie (già indebolite da decenni di eccessiva igienizzazione, inquinamento e scorretti stili di vita)?

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