Gli italiani sono, come è uso dire, brava gente. Ma anche persone mediamente restie e poco capaci di guardare i fatti con occhio critico. Per sottolineare la propensione all’adattamento passivo ai fatti di un grande numero di nostri connazionali, in una bellissima vignetta del compianto Andrea Pazienza, il presidente Pertini commenta con scetticismo il tripudio della gente in piazza per la liberazione dal fascismo. “Te credo – dice Pert – eravamo quattro gatti e ora siamo 30 milioni”.

Ad aiutare gli italiani nel vivere con un misto di sgomento e passività la complicata e stupefacente vicenda del Covid ci ha pensato sicuramente la grancassa dei media, che fino a quindici giorni fa passava immagini di morti e distruzioni quotidiane e adesso informa come se niente fosse la popolazione sulle modalità della ripartenza. Così come attoniti hanno accettato l’idea che chiudere tutto fosse l’unica soluzione, oggi la gran parte degli italiani con lo stesso atteggiamento si prepara dunque a riprendere la vita di tutti i giorni.

Certo ci sarà l’obbligo delle mascherine, ma tutto sommato una scusa per abbassarla la si può sempre trovare. Basterà convincersi che cosi lentamente faranno tutti e i giornali e la televisione aiuteranno a infondere il coraggio per rilanciare la nazione con responsabilità e impegno collettivo.

Certo a ben ricordare, qualche personaggio di spicco della virologia nazionale sosteneva fino a una settimana fa che la vita normale avrebbe potuto ricominciare solo in una situazione di contagio zero. Ma ormai regole e divieti saltano uno dietro l’altro. I metri di distanza in ristoranti e bar sono scesi da quattro a due a uno, quando si parlava fino all’altro ieri di un virus killer capace di spostarsi in aria fino a 8 metri di distanza.

Dal 3 giugno saranno possibili spostamenti tra Regioni; eguale se in Lombardia la situazione è tutto fuorché sotto controllo, mentre anche le frontiere verranno presto riaperte per promuovere l’economia del turismo. La notizia che il contagio era partito da un cittadino germanico venuto non si sa per quali motivi nel lombardo-veneto, come la gran parte delle informazioni nella società degli iperconsumi, ha perso slancio. Ora che si parla di decine di migliaia di turisti pronti a invadere la penisola, il problema dei numeri è giustamente archiviato.

Un certo assopimento si registra anche tra la popolazione nazionale relativamente al giudizio sui costi del lockdown. Lasciando i vari Salvini e company al loro triste ruolo di comprimari dello spettacolo, si può senz’altro dire che i due mesi e mezzo di fermo sono valsi nelle tasche degli italiani una cifra stimata nell’ordine di 60-65 miliardi di euro. Non è chiaro come verrà finanziata questa spesa. L’importante è però adesso ricevere i quattrini erogati a “quasi-pioggia” anche se sempre con l’accompagnamento di una formidabile trafila burocratica.

Che il mondo non sia cambiato in meglio come ipotizzavano molti commentatori è del resto piuttosto chiaro se si guarda a come gli acquisti pubblici di mascherine e dispositivi di protezione sono diventati fin dal primo giorno oggetto di scandali di vario tipo. Probabilmente anche una concezione lasca dei finanziamenti alle imprese, che spalanca le porte all’assalto delle mafie, è stata voluta per alzare la reputazione della nazione agli occhi di quei paesi europei più restii a approvare finanziamenti miliardari a tasso agevolato a uno Stato composto per un terzo da evasori e corruttori di vario tipo.

In questo quadro si iniziano a tirare anche le prime somme di come sono andate veramente le cose sul fronte epidemiologico. Il famoso “rischio zero” profetizzato da uno dei superguru della virologia nazionale è passato ormai alla storia della commedia dell’arte. La pandemia ha fatto purtroppo molte vittime, e molte innocenti. Come i ricoverati nelle Rsa, “la migliore generazione del dopoguerra” un terzo del totale, dove gli operatori erano drammaticamente sprovvisti di mascherine e protezioni adeguate.

Pur dopo mesi di approfondimenti, studi e ricerche apparsi sui giornali scientifici di mezzo mondo, il numero totale dei decessi è difficile da stimare, così come del resto quello dei contagiati. Per il mese di marzo 2020 i dati ufficiali rapportati alla media del periodo 2015-2019 rilevano un aumento a livello nazionale di circa 25mila decessi (da 65942 a 90946), di cui almeno il 50% attribuibile a morti diagnosticati Covid. Aggiungendo aprile e maggio, è ragionevole pensare che i morti da addebitare al virus siano più dei 30mila ufficialmente registrati.

La diffusione del virus non ha mietuto però vittime in modo eguale tra tutti gli strati della popolazione. È della settimana scorsa la notizia che l’età media dei decessi su un campione di 29692 pazienti deceduti e positivi all’infezione in Italia era pari a 80 anni per gli uomini e 85 per le donne. Il che colloca la mortalità per Sars-Cov-2 sullo stesso standard della mortalità media nazionale per età. Nel 2018 in Italia la speranza di vita degli uomini era infatti pari a 80,8 anni mentre per le donne arrivava a 85,2.

Un ulteriore indicazione che emerge dal report Iss Istat appena pubblicato riguarda le patologie. Il campione analizzato in questo caso è ridotto (2848 individui deceduti). I risultati sono tuttavia significativi. Tra i morti solo il 3,9% non presentava alcuna patologia pregressa, mentre il 21,3 aveva due patologie e addirittura il 59,8% tre o più. Prima del ricovero in ospedale il 40% dei deceduti era trattato con terapie contro malattie o rischi di malattia della circolazione arteriosa. Ovvero una delle patologie maggiormente associate all’invecchiamento.

Questi dati dicono una cosa molto semplice per quanto drammatica. Il virus stando sempre ai numeri ha accelerato un processo naturale di selezione di individui già in una fase terminale di vita. Il lockdown ha salvato sicuramente molti altri individui fragili da un decesso sicuro. Ma c’è da chiedersi se i tre mesi di chiusura siano stati davvero l’unica soluzione possibile per affrontare il problema. E quali saranno i costi e i benefici.

Probabilmente lo sapremo nei prossimi mesi quando si scoprirà che il deficit di bilancio per finanziare la ripartenza sarà a carico degli italiani e gli effetti collaterali del lockdown, come la condizione di salute mentale degli italiani, o la situazione delle famiglie rimaste sole a gestire casi di malati non autosufficienti o disabili, saranno maggiormente studiati. Quanti saranno i disoccupati, quanti non troveranno più lavoro, quanti giovani dovranno lavorare per pagare i debiti dei genitori saranno anche questioni da approfondire.

La sensazione che da tutta questa grande confusione però si può trarre è che la capacità di gran parte degli italiani di elaborare un proprio pensiero critico sui fatti è ormai arrivata ai minimi termini. Così come prima erano tutti in casa e a cantare l’inno nazionale sui balconi, allo stesso modo sono in tantissimi oggi di nuovo pronti a fare le valigie per andare in spiaggia e uscire al ristorante.

Chissà se qualcuno magari ha pensato che questo lockdown era in fondo solo un sogno, e che aprire o chiudere una nazione non sia stato altro che una specie di allegro gioco per tirare su il morale in attesa dell’arrivo dei 50 gradi estivi del cambiamento climatico. Dal dibattito monopolizzato da virologi e politici che hanno detto tutto e il contrario di tutto, il grande assente è la società civile e la sua capacità di porre domande critiche su cosa è accaduto e cosa poteva essere fatto.

Questo è forse la constatazione e il lascito più inquietante di questi tre lunghissimi mesi di improvvisazione politica e di orgia mediatica.

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