Durante il suo rapimento Silvia Romano si è convertita all’Islam. Dopo che la notizia circolava da ore, a confermare la vicenda è stata la stessa volontaria. Liberata 48 ore fa in Somalia a 18 mesi dal rapimento, Romano è arrivata in Italia, all’aeroporto di Ciampino poco dopo le 14 di domenica. Dopo aver riabbracciato la famiglia, la giovane è stata accompagnata in una caserma dei Ros sulla Salaria, dove è stata interrogata dal pm della procura di Roma, Sergio Colaiocco. Quattro ore di colloquio per ricostruire un anno e mezzo di prigionia.

L’interrogatorio: “Ho cambiato quattro covi” – “Voglio dire subito – ha detto Silvia – che durante la prigionia sono stata trattata bene, non sono mai stata minacciata di morte. Avevano promesso di non uccidermi e così è stato”. Un concetto, quello dell’assenza di coercizione, ribadito più volte anche in relazione alla conversione. Con l’aiuto di chi da Roma ha condotto le indagini sulla sua vicenda, la cooperante milanese ha cercato di mettere a fuoco i ricordi, partendo dal giorno in cui è stata prelevata da una banda armata in Kenya. Erano in otto, una azione compiuta forse su commissione dei militanti del gruppo islamista Al Shabaab a cui la ragazza è stata poi ceduta dopo un lungo viaggio di trasferimento in Somalia. Un trasferimento che è durato alcuni giorni, in moto ma anche a piedi. “Mi hanno assicurato che non sarei stata uccisa e così è stato, non ho subito violenze”, ha aggiunto la ragazza che ha poi raccontato di avere cambiato spesso luoghi di prigionia. “Avvenivano spesso i trasferimenti – ha proseguito -. Sono stata portata sempre in luoghi abitati, non sono mai stata legata, ho cambiato quattro covi. Mi chiudevano in stanze di abitazioni, sono sempre stata da sola, non ho visto altre donne”. Covi che, ha precisato la cooperante, “erano raggiunti sempre a piedi, camminando per chilometri“. Silvia ha spiegato agli investigatori di essere stata sempre con gli stessi carcerieri. “Loro erano armati e a volto coperto, ma sono sempre stata trattata bene ed ero libera di muovermi all’interno dei covi, che erano comunque sorvegliati”, ha precisato.

“Convertita in modo spontaneo e non forzato” – Punto fondamentale dell’interrogatorio, ovviamente, il capitolo riguardante la conversione all’Islam.“E’ successo a metà prigionia, quando ho chiesto di poter leggere il Corano e sono stata accontentata”, ha spiegato, definendo la scelta religiosa come “spontanea e non forzata“. La questione è delicata. Secondo alcune fonti dell’intelligence, infatti, quella conversione potrebbe essere il frutto “della condizione psicologica in cui si è trovata durante il rapimento“. Ecco perché una vicenda squisitamente intima e personale come la scelta di una religione assume rilievo investigativo. Subito dopo essere arrivata in Italia, Romano ha detto stare “bene sia mentalmente che fisicamente”. Poi con i pm ha smentito alcune delle notizie circolate nei mesi scorsi, come il presunto matrimonio forzato con uno dei suoi carcerieri: “Non c’è stato alcun matrimonio né relazione, solo rispetto“, ha detto ai pm. I carcerieri, ha detto Silvia, erano sempre presenti almeno in tre. “Mi hanno spiegato le loro ragioni e la loro cultura, ho imparato anche un po’ l’arabo: il mio processo di riconversione è stato lento e spontaneo“.

Il rapimento, i video, la liberazione – Già nelle ore successive alla liberazione sono circolate notizie diffuse da fonti dell’intelligence. Dopo il blitz dei servizi la giovane ha detto agli 007 italiani: “Mi sono convertita all’Islam, è stata una mia libera scelta, sono stata trattata bene e non sono stata costretta al matrimonio“. “La conversione? Di questo non abbiamo parlato, il fatto che non abbia voluto cambiare gli abiti che aveva può significare molte cose, una consuetudine acquisita in questi mesi, non necessariamente motivazioni di altro tipo”, ha raccontato l’ambasciatore italiano in Somalia, Alberto Vecchi. Dopo la liberazione infatti la ragazza non ha voluto cambiarsi d’abito, rimanendo con una tipica veste somala. Un tipo di abito che indossava anche all’arrivo in Italia. Rapita il 20 novembre 2018 nel villaggio di Chakama in Kenya e poi subito finita in Somalia nelle mani di Al Shabab, gruppo terrorista affiliato ad Al Qaeda, Romano è stata tenuta prigioniera in quattro covi, di cui tre sono stati individuati: Bulo Fulay, Harardhere, Janale. Secondo fonti di Mogadiscio ci sono prove che la volontaria sia stata nascosta a Janale, da ottobre 2019 a marzo 2020 (la città venne liberata dopo il trasferimento dell’ostaggio). Poi, nuove tracce la fanno ricomparire a fine aprile, insieme ad altri ostaggi, in una zona impervia tra South West e Jubaland chiamata la foresta degli elefanti, area sotto il controllo dei miliziani jihadisti, tra l’altro di frequente sotto attacco Usa. Nella notte tra venerdì e sabato, finalmente la svolta: Silvia Romano sarebbe stata accompagnata fuori dalla foresta, in zona libera controllata dal governo federale, sulla strada Afgoye-Mogadiscio, dove è scattato il blitz turco-somalo. I servizi di Ankara e Mogadiscio hanno collaborato con l’intelligence italiana nell’operazione che ha portato alla liberazione della giovane. Ventiquattro ore dopo l’arrivo in Italia per abbracciare la famiglia.

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Silvia Romano, le prime parole della cooperante: “Sto bene fisicamente e mentalmente. Ora voglio stare un po’ di tempo con la mia famiglia”

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