Una nota dei consiglieri laici eletti dal M5s al Consiglio superiore della magistratura per esprimere “forte preoccupazione per il clima venutosi a creare, specie in un momento in cui la Giustizia necessiterebbe di unità e collaborazione tra tutti gli operatori, nell’interesse del Paese e dei cittadini”. Nel day after dello scontro tra il guardasigilli, Alfonso Bonafede, e il magistrato Nino Di Matteo, consigliere togato del Csm, i componenti di Palazzo dei Marescialli diffondono una nota che – senza mai citarlo – critica l’ex pm di Palermo.

“Vogliamo sottolineare con forza la nostra convinzione che i consiglieri del Csm, togati e laici, dovrebbero, più di chiunque altro, osservare continenza e cautela e nell’esprimere, specialmente ai media, le proprie opinioni, proprio per evitare di alimentare speculazioni e strumentalizzazioni politico-mediatiche che fanno male alla Giustizia e minano l’autorevolezza del Consiglio”, scrivono Alberto Maria Benedetti, Filippo Donati e Fulvio Gigliotti, i tre docenti universitari eletti dal partito del guardasigilli come membri laici del Csm. “Chi ha l’onore di ricoprire un incarico di così grande rilievo costituzionale – continuano – deve sapersi auto-limitare; questo non significa rinunciare a esprimere le proprie opinioni, ma vuole dire farlo nelle forme e nei modi corretti. È quello che noi facciamo, e convintamente continueremo a fare, da quando, nel settembre 2018, siamo stati chiamati dal Parlamento al ruolo di componenti del Csm”.

Un comunicato che è stigmatizza evidentemente l’intervento di Di Matteo, noto magistrato impegnato da più di 25 anni nella lotta a Cosa nostra, prima come pm a Caltanissetta, poi a Palermo – dove tra le altre cose ha indagato sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra – quindi alla procura nazionale Antimafia. Eletto lo scorso autunno a Palazzo dei Marescialli con Autonomia e Indipendenza, la corrente di Piercamillo Davigo, Di Matteo si considera un componente togato indipendente del Csm. Domenica sera ha deciso d’intervenire in diretta su La7, durante la trasmissione Non è l’Arena, dove si discuteva della sua mancata nomina al vertice del Dipartimento amministrazione penitenziaria nel 2018. Il magistrato ha telefonato per raccontare che nel 2018 il ministro Bonafede gli aveva effettivamente offerto di dirigere il Dap. Alcuni giorni prima era iniziata a circolare la relazione con le reazioni rabbiose esternate dai boss mafiosi al 41bis sull’ipotesi di Di Matteo al capo del Dap. Quell’offerta sarebbe poi venuta meno. “Andai a trovare il ministro – è la ricostruzione di Di Matteo – dicendo che avevo deciso di accettare l’incarico al Dap, ma improvvisamente mi disse che ci aveva ripensato e nel frattempo avevano deciso di nominare il dottor Basentini. Mi chiese di accettare il posto di direttore generale del ministero, ma il giorno dopo gli dissi di non contare su di me”. Sempre in diretta ecco la replica di Bonafede: “Non sono uno stupido sapevo chi è Di Matteo, sapevo chi stavo per scegliere, e tra l’altro l’altro quella intercettazione era già stata pubblicata sul Fatto Quotidiano (ndr in realtà sarebbe stata pubblicata dopo) e sono intercettazioni di cui il ministro dispone perché le fa la polizia penitenziaria. Il fatto che il giorno dopo avrei ritrattato quella proposta in virtù di non so quale paura sopravvenuta non sta né in cielo né in terra. E’ una percezione del dottor Di Matteo”.

Uno scontro che ovviamente ha provocato reazioni da ogni parte politica. Il centrodestra ha chiesto più volte le dimissioni di Bonafede, oggi Forza Italia, Lega e Fdi hanno chiesto in aula alla Camera un’informativa urgente del guardasigilli sulla vicenda. Anche Matteo Salvini oggi torna sull’argomento per dire che “sulla questione andremo fino in fondo, per avere chiarezza a nome degli italiani”. Il leader replica alle parole di Vito Crimi: “Dice che è un equivoco? Non è vero, è una cosa che deve essere chiarita in Parlamento, serve un chiarimento vero”. Oltre al capo politico ad interim del M5s, nella giornata di ieri l’intero governo ha fatto quadrato su Bonafede, a cominciare dal premier Giuseppe Conte.

Ha difeso Bonafede anche il presidente della Camera Roberto Fico: “Credo che sia inaccettabile, non ho alcun dubbio sull’impegno netto delle Istituzioni contro le mafie e del ministri Bonafede che non si è mai risparmiato. Non ho dubbi. Se poi ci sono state incomprensioni personali, nulla hanno a che fare con la lotta alla mafia e la trasparenza del ministro Bonafede su cui non ho dubbi”. Appoggia il guardasigilli anche uno dei suoi più acerrimi critici: il presidente dell’Unione delle Camere penali, Gian Domenico Caiazza. “Il ministro della Giustizia si trova aggredito ingiustamente, gratuitamente e illegittimamente dall’idolo la cui idolatria lo ha portato a diventare ministro”, dice il presidente dei penalisti.

Sul fronte più squitisamente tecnico va registrata la dichiarazione all’agenzia Adnkronos del vice capo di gabinetto del ministro della Giustizia, Leonardo Pucci, l’uomo che nel giugno del 2018, stando al tam tam politico giudiziario, avrebbe convinto il guardasigilli a fare marcia indietro sulla scelta di Di Matteo alla guida del Dap e a ripiegare, poi, su Francesco Basentini. “Conosco bene Basentini ma non sono stato il suo sponsor. Non ci sono state sponsorizzazioni, che io sappia. Né per uno né per gli altri. Si è trattato di scelte discrezionali: per i vertici sono importanti discrezionalità e fiducia. Per quello che ho visto io, le scelte del ministro sono state sempre a discrezione sua, nei colloqui con le persone”, ha detto Pucci.

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