Ieri il botta e risposta in tv, oggi un post su Facebook. E la difesa di tutto il governo, a partire dal premier Giuseppe Conte. Il tutto dopo che il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede è nuovamente intervenuto sulla questione della mancata nomina del pm antimafia Nino Di Matteo a capo del Dap, ruolo che – come raccontato da entrambi i protagonisti della vicenda, seppur con sfumature diverse – il Guardasigilli aveva proposto anche al magistrato antimafia insieme ad un altro ruolo di spicco all’interno del ministero. Poi non se ne è fatto più nulla e la questione è rimasta sotto traccia praticamente per due anni. Le recenti rivolte in carcere, la scarcerazione dei boss e sullo sfondo la questione coronavirus hanno riportato il Dap al centro della scena e delle polemiche. Ieri, dopo le dimissioni di Basentini e la sua sostituzione, l’ennesimo capitolo a L’Arena di Giletti, su La7: dibattito a distanza tra Di Matteo e Bonafede, con entrambi che hanno telefonato in diretta. Oggi, dopo che la questione è diventata l’argomento politico di giornata, il Guardasigilli ha deciso di ribadire la sua posizione in un lungo post su Facebook, che ricalca quanto detto in trasmissione da Giletti. Una difesa che ha incassato la solidarietà di tutto il Movimento 5 Stelle e anche del presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Le parole di Bonafede – “Ieri sera, nella trasmissione televisiva “Non è l’Arena“, si è tentato di far intendere che la mancata nomina, due anni fa, del dottor Nino Di Matteo, magistrato antimafia e attuale membro del Csm, quale Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) fosse dipesa da alcune esternazioni in carcere di mafiosi detenuti che temevano la sua nomina” ha scritto Bonafede, secondo cui “l’idea trapelata nel vergognoso dibattito di oggi, secondo cui mi sarei lasciato condizionare dalle parole pronunciate in carcere da qualche boss mafioso è un’ipotesi tanto infamante quanto infondata e assurda”. Detto ciò, il ministro ha ricostruito nuovamente tutta la vicenda: “E’ sufficiente infatti ricordare che, quando decisi di contattare il Dott. Di Matteo, quelle esternazioni di detenuti mafiosi in carcere erano già presso il mio Ministero da qualche giorno. Non solo – ha aggiunto – Furono oggetto di specifica conversazione in occasione della prima telefonata con cui, il 18 giugno 2018, proposi al dottor Di Matteo, in piena consapevolezza di ciò che questo rappresentava, di valutare la possibilità di entrare nella squadra che stavo costruendo per il ministero della Giustizia. D’altronde – è il ragionamento del Guardasigilli – se mi fossi lasciato influenzare dalle reazioni dei mafiosi non avrei certo chiamato io il dott. Di Matteo per valutare con lui la possibilità di collaborare in una posizione di rilievo – ha aggiunto – Sono consapevole che le mie scelte e le mie decisioni possono piacere o meno ma rigetto ogni e qualsiasi illazione al riguardo”.

La ricostruzione del Guardasigilli – La ricostruzione va avanti, con tanto di date e dettagli: “Alla fine dell’incontro, mi sembrava che fossimo concordi sulla scelta di quella collocazione, che gli avrebbe consentito di incidere su tutta la legislazione in materia penale – ha spiegato il ministro della Giustizia – Ad ogni modo, ci lasciammo con questa prospettiva. Più tardi ricevetti una chiamata del dottor Di Matteo, il quale mi chiese un secondo incontro, che si svolse l’indomani (mercoledì 20 giugno 2018, ore 11:00). In quell’occasione – ha sottolineato – mi disse che avrebbe preferito il Dap. Con profondo rammarico, gli spiegai che, dopo l’incontro del giorno prima, avevo già assegnato quell’incarico a un altro magistrato. Ricordo perfettamente che gli dissi che sarebbe stato comunque ‘la punta di diamante del Ministero contro la mafia’. Lui ribadì legittimamente la sua scelta. Ci siamo salutati entrambi con rammarico – ha specificato Bonafede – per non aver concretizzato una collaborazione insieme. Questi sono i fatti”.

In conclusione, poi, Bonafede ha difeso il lavoro sin qui svolto a via Arenula: “Ho sempre agito a viso aperto nella lotta alle mafie che, infatti, nel mio ruolo ho portato avanti con riforme – ha elencato – come quella che ho sostenuto in Parlamento sul voto di scambio politicomafioso; con la Legge c.d. “Spazzacorrotti”; con la mia firma su circa 686 provvedimenti di cui al 41 bis e con l’ultimo decreto legge che – ha concluso – dopo le scarcerazioni di alcuni boss, impone ai Tribunali di Sorveglianza di consultare la Direzione nazionale e le Direzioni distrettuali antimafia su ogni richiesta di scarcerazione per motivi di salute di esponenti della criminalità organizzata“.

Da Conte “piena fiducia” nell’operato di Bonafede. Crimi: “Attacchi politici – “Piena fiducia” nell’operato di Alfonso Bonafede come ministro della Giustizia. E’ quanto ha sottolineato, secondo le agenzie di stampa, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte al termine della giornata di polemiche politiche sul Guardasigilli. A difendere il ministro della Giustizia anche il capo politico reggente del Movimento 5 stelle Vito Crimi: “Bonafede è il ministro della Giustizia che, nonostante numerose resistenze, è riuscito a portare a compimento riforme coraggiose: 100 detenuti in più mandati al 41 bis, Spazza-Corrotti, riforma della prescrizione, inasprimento della norma sul voto di scambio politico mafioso. L’opera svolta in questi 2 anni parla per lui – ha detto il viceministro dell’Interno in un post sulla sua pagina Facebook – Respingo con convinzione gli attacchi politici o le congetture prive di fondamento rispetto a scelte da lui compiute in piena autonomia, che non scalfiscono la fiducia mia e del M5S nei suoi confronti”.

Ministro Costa: “Linciaggio fuori dalla storia” – Oltre al capo politico del Movimento, in difesa del Guardasigilli da segnalare anche la posizione del ministro dell’Ambiente Sergio Costa, simbolo della lotta dei pentastellati contro tutte le mafie: “Conosco molto bene il ministro Bonafede, ed è un punto di riferimento per lealtà istituzionale e per la sua lotta al crimine organizzato – ha detto – Materia che come sapete, per la mia storia, conosco bene. Adombrare nei suoi riguardi dei condizionamenti è assolutamente fuori dal mondo”. Costa, infatti, è generale del Corpo Forestale e poi dei Carabinieri, per anni impegnato nella lotta contro le discariche abusive dei Casalesi. “Basti pensare alla legge Spazzacorrotti, al suo intervento normativo dopo le recenti scarcerazioni – ha aggiunto – ai provvedimenti da lui firmati anche per il 41bis; mi confronto spesso con lui su tematiche di giustizia e sugli strumenti contro la criminalità, proprio in considerazione della mia esperienza lavorativa. Il linciaggio a cui è sottoposto in queste ore – ha concluso – è davvero fuori dalla storia”.

Luigi di Maio: “Bonafede ha la schiena dritta” – “Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha sempre dimostrato di avere la schiena dritta e – scrive su Facebook il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio – di non fermarsi davanti a nessuno, mettendo al primo posto solo gli interessi dei cittadini. Siamo entrati in parlamento con il chiaro intento di fermare il malaffare e debellare le mafie. Il nostro impegno è sempre stato massimo, in poco tempo abbiamo approvato leggi contro i mafiosi e inasprito le pene contro i corrotti”.

Morra (Antimafia): “Auspicio per un chiarimento” – Anche il presidente della Commissione parlamentare Antimafia e senatore M5s Nicola Morra, difende il Guardasigilli: “Arrivare a sostenere che l’azione di Bonafede sia stata inficiata da subito da condizionamento, minacce e intimidazioni per cui avrebbe evitato la nomina di Di Matteo a capo del Dap mi pare un’inferenza illogica. Se Bonafede fosse stato condizionato, minacciato, intimorito avrebbe potuto chiamare qualcun altro e non Di Matteo invece lo ha chiamato, ma poi, presumo, c’è stato un problema di comunicazione per cui il posto al Dap è stato assegnato a un’altra persona“. Morra ha ricostruito quanto emerso nella trasmissione televisiva di ieri. “Bonafede ha chiamato Di Matteo per offrirgli la possibilità di scegliere tra due incarichi, il primo essere a capo del mondo carcerario”, ha ricordato Morra “oppure un altro incarico” ossia la “Direzione generale affari penali, ruolo in cui a inizio anni ’90 fu chiamato a Roma Giovanni Falcone“. Morra ha poi ricordato che erano state “pubblicate alcuni giorni prima delle intercettazioni di boss appartenenti a Cosa Nostra in cui si diceva ‘se fanno Di Matteo capo Dap è finita’ proprio perché si riconosceva lo straordinario spessore dell’uomo e del magistrato”. “C’è stato un cortocircuito, un qui pro quo su cui bisognerà tornare. Si dovranno chiarire il ministro Bonafede e Di Matteo: questo è il mio auspicio“.

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