“Sai chi ci arriva molto bene?”. “Chi?”. “Peppino Chiaravalloti”. Il riferimento è al magistrato in pensione ed ex presidente della Regione Calabria Giuseppe Chiaravalloti. A tirarlo in mezzo, invece, l’avvocato ed ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli, arrestato a dicembre scorso nell’inchiesta “Rinascita-Scott” assieme ad altri 333 indagati dalla Dda di Catanzaro. È il 6 febbraio 2018 quando Pittelli discute con il cugino Franco del concorso che la figlia di quest’ultimo da lì a poco dovrà sostenere all’Antitrust. Quella telefonata è finita nell’inchiesta coordinata dal procuratore Nicola Gratteri e dai suoi pm che hanno ricostruito non solo le dinamiche criminali della cosca Mancuso, con cui era in contatto Pittelli, ma anche tutto il reticolo di relazioni che l’ex senatore curava grazie alla sua appartenenza alla massoneria.

Un ambiente che, stando alle indagini del Ros, accomuna tanto Pittelli quanto Chiaravalloti. Se l’ex governatore del centrodestra, infatti, è “segnalato come massone” dal pentito Cosimo Virgiglio, per la Dda l’avvocato Pittelli appartiene non solo “ad una struttura massonica riservata” (come riferisce il collaboratore di giustizia) ma pure “ad un circuito massonico riconosciuto ufficiale che è da lui impiegato anche per esigenze di natura personale e imprenditoriale”. Per dirla con i pm, Pittelli era “la cerniera tra i due mondi” in una “sorta di circolare rapporto ‘a tre’ tra il politico, il professionista e il faccendiere”.

Ritornando alla raccomandazione per il concorso della cuginetta, in una nota del marzo 2018 gli investigatori informano la Dda che sono emersi contatti tra l’avvocato indagato e suo cugino Franco. “Quest’ultimo – si legge – chiedeva al primo di interessarsi per la prova orale che la avrebbe dovuto sostenere sua figlia, Paola, nel concorso cui stava partecipando presso l’Antitrust. L’interessamento richiesta a Giancarlo Pittelli consisteva nel ‘prendere contatti’, ‘avvicinare’, i componenti della commissione esaminatrice”.

“Dimmi Frà, chi sono?” chiede il cugino avvocato. “Uno è questo… Galasso… che è il dirigente dell’Antitrus, Giuseppe Galasso… Mattarella, che fa diritto amministrativo alla Luiss e l’altro è Caravita di Toritto”. A Giancarlo Pittelli si accende la lampadina: “Ah, Beniamino?”. “Beniamino, lo conosci?”. “Si… Sai chi ci arriva molto bene? Peppino Chiaravalloti”. “Come mai?”. “Perché gli ha dato diverse cause… quando era Presidente de… della Regione”.

Leggendo le intercettazioni sembra quasi che sia il “do ut des” il criterio che muove il mondo a certe latitudini. Almeno in quelle di Giancarlo Pittelli a cui il cugino Franco fa capire di avere una certa urgenza nel “sistemare” la figlia: “Ma tu non glielo puoi dire pure?”. L’ex senatore non vuole sbagliare i vari passaggi per raggiungere l’obiettivo: “Non lo so, vediamo un attimo…voglio vedere un attimo che dice Peppino…quale è la forma migliore… io non ho quest’intimità capito?… vabbé lo chiamo subito ciao”.

Due minuti più tardi, Pittelli chiama Giuseppe Chiaravalloti, 86 anni, magistrato in pensione, ex presidente della Regione dal 2000 al 2005, “nonché – scrivono i carabinieri – commissario e vicepresidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali dal 2005 al 2012”. “Eccellenza”. “Uhe Giancarlo”. “Come vi sentite”. “Come il cinque a sette e mezzo dicevano”. Abbandonati i convenevoli, l’avvocato va al sodo: “Con Beniamino Caravita siete rimasti in buoni rapporti?… perché voi avete fatto del gran bene, del gran bene no? Se ricordo bene”. “Più che a lui ero in buoni rapporti con la moglie – spiega Chiaravalloti – … con Maria Rosaria la figlia dell’onorevole Covelli”. “Si…perché, Presidente, c’ho la mia nipotina Paola che fa un esame con lui per entrare all’Antitrust…glielo possiamo dire a Rosaria?”. L’ex governatore è d’accordo (“Eh si”) e l’8 febbraio riceve Franco Pittelli a casa sua.

Dieci giorni più tardi, prima di pranzo, l’ex presidente della Regione è al telefono con l’amico Giancarlo per informarlo di “essersi impegnato a ‘fare quella telefonata a Roma anche con le precauzioni del caso”. “Ti volevo dire – dice Chiaravalloti – che poi quella telefonata per la cuginetta tua io ero riuscito a farla. Non so che esito abbia”. La cuginetta dell’ex senatore di Forza Italia quel concorso non lo ha vinto. È arrivata sesta e i posti erano due. Ma nella stessa telefonata, gli inquirenti sentono parlare l’ex governatore di centrodestra e Pittelli dell’“Orso Cattivo”, un ristorante di Settingiano in provincia di Catanzaro.

“Tu non sei al maiale, all’Orso Cattivo, no?”. “No… e voi andate al maiale?”. “Si vado per compagnia… mangiare mangerò un po’ di…”. “Ma chi l’ha organizzato”. “L’Orso Cattivo, però, con un ‘anclav’ (fonetico, ndr) riservata al circolo”. Due anni prima, nel 2016, di quel ristorante ne aveva parlato il pentito Cosimo Virgiglio che, nel luglio 2018, al pm Antonio De Bernardo ha ribadito: “Molte riunioni tra massoni per la discussione di grandi affari e candidature, avvenivano al ristorante ‘L’Orso cattivo’, dove abbiamo incontrato soggetti come Gianni Letta, con il quale si parlò dell’affare che coinvolgeva la Lloyd’s di Londra, Cesare Previti ed altri. Tuttavia preciso che il ristorante ‘L’Orso cattivo’ era soltanto un luogo dove sapevamo di poter parlare indisturbati ed inascoltati di questioni delicate, ma non un vero e proprio tempio massonico”.

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