La “cerniera” tra i due mondi, un “passepartout” per le cosche che attraverso i suoi agganci riuscivano a penetrare in banche, società straniere, università, istituzioni. Questo era l’avvocato Giancarlo Pittelli, più volte parlamentare di Forza Italia tra il 2001 e il 2013 e poi dal 2017 esponente di Fratelli d’Italia, secondo la fotografia scattata dalla procura di Catanzaro. Uomo capace di mescolare l’alto e il basso: legale di fama, ex componente della commissione Giustizia e ideatore di una discussa proposta di legge che secondo Magistratura democratica aveva lo scopo di salvare gli imputati eccellenti, “accreditato nei circuiti della massoneria più potente” e pure “perfettamente inserito” nelle famiglie ‘ndranghetiste. Insomma, il “colletto bianco” perfetto per i boss del clan Mancuso di Limbadi: non a caso il suo nome compare 485 volte nell’ordinanza di custodia cautelare dei 330 arresti disposti dal giudice Barbara Saccà. In carcere ci è finito anche lui, con accuse gravissime.

Il rapporto circolare politica, imprenditoria e ‘ndrangheta
Pittelli – in politica dal 1980 quando venne eletto in consiglio comunale a Catanzaro – è ritenuto dal gip la chiave di una “sorta di circolare rapporto ‘a tre’ tra il politico-professionista-faccendiere, l’operatore di impresa e la cosca mafiosa”. In questa triade, l’ex parlamentare “ottiene e concede favori, in forza dei suoi legami con le istituzioni e la ndrangheta, fungendo da “cerniera” tra i due mondi”, l’imprenditore colluso “cresce e/o risolve problemi grazie all’influenza mafiosa ed alla politica collusa” e la ‘ndrangheta “rafforza il suo radicamento nel tessuto politico ed economico”.

Il “passepartout” dei Mancuso
Giocava di sponda, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, Pittelli: “Accreditato nei circuiti della massoneria più potente, è stato in grado di far relazionare la ‘ndrangheta con i circuiti bancari, con le società straniere, con le università, con le istituzioni tutte, fungendo da passepartout del Mancuso, per il ruolo politico rivestito, per la sua fama professionale e di uomo stimato nelle relazioni sociali”. Verso Luigi Mancuso e i suoi sodali, l’ex deputato e senatore garantiva “la sua generale disponibilità” per risolvere “i più svariati problemi” grazie ai “rapporti” con “importanti esponenti delle istituzioni e/o della pubblica amministrazione, in particolare delle Forze dell’Ordine”. Come l’ex comandante dei carabinieri di Teramo, Giorgio Naselli, pure lui intercettato e arrestato.

“Aveva decisiva voce in capitolo in importanti affari”
Una mano stretta di qua, una telefonata di là, secondo i magistrati della procura di Catanzaro, Pittelli “consentiva” al clan Mancuso “d’infiltrarsi e di avere decisiva voce in capitolo in importanti affari ed iniziative imprenditoriali”, comprese speculazioni immobiliari nel ramo turistico-alberghiero. Si poneva, insomma, stando alla ricostruzione degli inquirenti, come l’uomo “con il quale necessariamente parlare per risolvere un tal tipo di questioni, così oggettivamente rafforzando la sfera di influenza del sodalizio nel tessuto economico, accrescendone, ad un elevato livello imprenditoriale e relazionale, il controllo sul territorio”. In questo modo avrebbe ottenuto “oltre alla ‘protezione’ mafiosa” anche “una serie di ulteriori vantaggi ingiusti, quali la possibilità di una interlocuzione privilegiata con l’esterno” con “operatori economici, soci in affari, creditori” nei più svariati campi, dal settore turistico-alberghiero alla progettazione di materiali plastici, elettrici ed elettromeccanici, nonché con “ulteriori esponenti della criminalità organizzata di altre zone di interesse”.

Le “ambigue conoscenze” e il “costante contraccambio”
Non è la prima volta che l’ex parlamentare di Forza Italia finisce sotto la lente della magistratura. Dieci anni fa il suo nome comparve nell’indagine Why Not dell’allora pm Luigi De Magistris. “Venni fermato”, il pesante j’accuse dell’attuale sindaco di Napoli. Ha conoscenze ovunque, la “cerniera” dei clan: “Lo stesso Pittelli riceve dalla consorteria il suo costante contraccambio ove si pensi che i boss lo nominano avvocato loro e dei loro sodali in quanto capace di mettere mano ai processi con le sue ambigue conoscenze e rapporti di ‘amicizia’ con magistrati, come dimostrano le vicende giudiziarie su Salerno”. Ma anche “con alte personalità delle forze dell’ordine, con i vertici dell’Accademia e del mondo ospedaliero”, si legge in un passaggio dell’ordinanza.

La “frangia di collegamento” tra società civile e logge coperte
Un esempio per tutti: la figlia del boss “supremo” Luigi, Maria Teresa Mancuso, studentessa di medicina all’università di Messina, non riusciva a superare l’esame di istologia. Una telefonata al numero giusto e Pittelli – stando al suo racconto mentre è intercettato – prova a risolvere tutto presentandola al rettore dell’ateneo. “Questa ragazzina scoppia a piangere – ricorda – e mi faceva ‘troppo avvocato, troppo avvocato troppo’”. Una sorta di double face, da una parte “perfettamente inserito nei rapporti tra Mancuso e altri boss delle consorterie legate a Limbadi” e dall’altra, secondo i pm, posizionato “in quella particolare frangia di collegamento con la società civile, rappresentata dal limbo delle logge coperte” in un “coacervo di relazioni tra i ‘grandi’ della ‘ndrangheta calabrese e i ‘grandi’ della massoneria, tutti ben inseriti nei contesti strategici”. In ogni sua veste, a prescindere, per i magistrati Pittelli era a disposizione dei Mancuso.

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