Rubare dati sensibili e venderli al mercato nero con l’ausilio della criminalità organizzata. Sia rispetto alle informazioni mediche utili nella ricerca sul Covid-19 che in relazione alle decine di milioni di euro che tutti i giorni vengono donati ai centri specializzati. Sono questi i motivi che potrebbero aver portato, la settimana scorsa, al tentato accesso abusivo alla rete informatica dell’ospedale ‘Lazzaro Spallanzani’ di Roma, l’istituto nazionale per le malattie infettive che è fra i principali hub italiani operanti nella ricerca contro il coronavirus e, per l’Italia centrale, nella cura ai pazienti infetti: “Le cartelle cliniche dei pazienti o anche solo le loro generalità valgono migliaia di euro nel dark-web”, spiegano gli inquirenti.

La notizia è stata rivelata da Nicola Zingaretti durante una conferenza stampa sullo stato dell’epidemia nel Lazio. La Procura di Roma ha aperto un fascicolo sull’episodio che confluirà in uno già aperto circa due settimane fa e che riguarda i numerosi tentativi di hackeraggio proprio ai danni delle strutture in prima linea nella battaglia al Covid. Basti pensare che, nelle prime due settimane di marzo, la Polizia postale – che indaga – ha effettuato ben 261 denunce, di cui il 70% si riferisce a truffe online sui presidi sanitari. A quanto si apprende, invece, non ci sarebbero collegamenti fra l’episodio del nosocomio romano e l’hackeraggio del sistema denunciato dall’Inps.

L’Istituto Spallanzani, con il suo centro ricerca all’avanguardia, le centinaia di cartelle cliniche e i milioni di euro raccolti dalla beneficenza, rappresenta un “bersaglio grosso”. Non a caso il tentativo di accesso abusivo è stato sventato. Al momento non vi sono indagati e non viene esclusa nemmeno la pista della “talpa” interna. Gli inquirenti indagano anche per vedere se i cyber-criminali possano aver usufruito dell’aiuto di qualcuno dei dipendenti dell’ufficio settore informatico o di altre strutture che operano in collaborazione con questo. “In questa fase – raccontano gli inquirenti – ci sono filiere parallele, legate ai laboratori privati in mano alla criminalità organizzata o alla ricerca farmaceutica, disposte a pagare migliaia di euro anche poche ma preziose informazioni”. Al centro di questa spasmodica ricerca di dati sensibili ci sarebbero strutture sanitarie di tutto il mondo. Una specie di spionaggio industriale internazionale.

Poi c’è la pista delle donazioni. In queste ore, gli ospedali italiani stanno ricevendo milioni di euro da benefattori vip, ma anche da semplici cittadini. E i soldi arrivano attraverso tutte le piattaforme: con gli iban ufficiali, ma anche con i social network, come Facebook. Qui entra in gioco il ruolo dell’hacker, in grado di recuperare dati e password dei donatori e, in qualche modo, intercettare una parte – seppur residuale – di quelle donazioni. Anche attraverso vere e proprie truffe come il phishing. Non è un caso che gli accertamenti disposti dal procuratore aggiunto Angelantonio Racanelli agli agenti della Polizia postale siano stati assegnati alla stessa squadra che già indaga sul fenomeno.

Fra l’altro, la giornata di mercoledì nella Capitale era iniziata con un altro caso di “sabotaggio”, come l’ha definito l’assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D’Amato. Questa volta un danno fisico, tangibile, a uno dei server che avrebbero dovuto gestire, da oggi, la sperimentazione dei test veloci sul Covid-19 presso il laboratorio clinico dell’ospedale San Camillo. A quanto emerso, qualcuno nel fine settimana si sarebbe introdotto nei locali del nosocomio e ha letteralmente sottratto la scheda madre del cervellone centrale, mandando in fumo giorni di preparativi. “Un gesto criminale che colpisce cittadini e dipendenti dell’ospedale”, lo ha definito Fabrizio d’Alba, direttore generale del San Camillo. “Si faccia chiarezza su questi gravissimi atti di sabotaggio. Condanniamo con forza questi gesti criminali”, ha affermato la sindaca di Roma, Virginia Raggi.

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