Il soprannome glielo ha dato il suo compagno di squadra Luciano Spinosi, appena arrivato alla Juve nell’estate del 1975. Marco Tardelli aveva 20 anni, era magrissimo, scattante e mai fermo un attimo. Per tutti diventò “Schizzo”. Ora l’uomo che correva come un forsennato, urlando dopo il gol fatto nella finale mondiale 1982, è rintanato nell’appartamento di Roma. Telefona, legge, scrive e rimane in casa. Il figlio Nicola vive a Milano, la figlia Sara è invece a Roma ma comunque distante. La tecnologia aiuta per non sentire troppo la mancanza di entrambi.

“È difficilissimo – racconta Tardelli – ma l’alternativa è peggiore. Non c’è un’altra soluzione. Bisogna stare a casa come impongono il governo e i virologi. L’unica cosa che si può fare è rimanere calmi e avere pazienza. Mai come adesso bisogna aiutare gli altri”. Non è facile immaginare Tardelli, idolo di molti negli anni ’70 e ’80, rinchiuso tra le mura domestiche. “M’immagino un urlo collettivo di liberazione, che scacci l’incubo”. Per qualche giorno nel suo account ufficiale ha questa frase come tweet fissato in alto. “Siamo in una guerra che nessuno di noi ha mai vissuto prima – dice il campione che potrebbe diventare il nuovo presidente dell’Associazione Italiana Calciatori – ma nei conflitti mondiali venivano a prenderti a casa per andare a combattere o ancora peggio, qui invece devi soltanto stare in divano. Meglio oggi, no? Bisogna accettare la situazione ed essere responsabili”. Il calcio intanto è bloccato. “Come tutte le industrie anche quella del pallone è messa male. Alcune società stanno bene economicamente, altre si sono indebitate troppo e avranno ripercussioni ancora peggiori”.

È inutile fare adesso troppe previsioni sul futuro, a coronavirus non ancora debellato. “Questa è un’emergenza mondiale, noi italiani speriamo di uscirne il prima possibile, ci siamo entrati in anticipo rispetto agli altri. Ma il problema a livello calcistico si dovrà risolvere su scala europea. Non ha senso se noi concludessimo il campionato e gli altri no. E poi per le coppe come si fa?”. Tardelli crede che esista ancora una meritocrazia nello sport. “Sono contrario alla sperimentazione dei playoff. Se c’è la possibilità di concludere il campionato, deve essere finito nella modalità consueta. In ogni caso nell’emergenza totale si può anche pensare di non assegnare il titolo come è già successo ai tempi di guerra”.

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