Con grade cautela, e con tutti i distinguo necessari per non ingenerare facili entusiasmi, è stato data notizia dell’avvio della sperimentazione, a partire dagli ospedali veneti, dell’uso di un farmaco già utilizzato in Giappone per combattere il coronavirus. Il presidente della Regione, Luca Zaia, ha detto nel corso della conferenza stampa quotidiana a Mestre: “Avete visto in televisione il video di un farmaco giapponese, il Favipiravir. Vi informo che Aifa, l’Agenzia Italiana per il Farmaco, ha dato l’ok alla sperimentazione”. Lo ha confermato anche Domenico Mantoan, da pochi mesi diventato presidente Aifa e attuale direttore generale dell’Area Sanità e sociale della Regione Veneto. “La commissione tecnico-scientifica dell’Aifa ha autorizzato la sperimentazione che comincerà negli ospedali delle tre regioni maggiormente coinvolte, la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna”. E ha aggiunto: “Abbiamo due farmaci giapponesi già autorizzati, ora la commissione di Aifa partirà con la definizione del nuovo trial clinico. Gli ospedali saranno chiamati a sperimentare i farmaci, i pazienti verranno individuati secondo criteri che saranno stabiliti. Nel giro di un mese potremmo avere le prime indicazioni sull’efficacia di questi farmaci”.

Un paio d’ore dopo le dichiarazioni del presidente Mantoan, Aifa ha emesso un comunicato: “Ad oggi non esistono studi clinici pubblicati relativi all’efficacia e alla sicurezza del farmaco Favipiravir nel trattamento della malattia da Covid-19. Favipiravir è un antivirale autorizzato in Giappone dal marzo 2014 per il trattamento di forme di influenza causate da virus influenzali nuovi o riemergenti e il suo utilizzo è limitato ai casi in cui gli altri antivirali sono inefficaci. Il medicinale non è autorizzato né in Europa, né negli Usa”. Aifa aggiunge che, relativamente all’impiego anti-Covid, “sono unicamente noti dati preliminari, disponibili attualmente solo come versione pre-proof (cioè non ancora sottoposti a revisione di esperti), di un piccolo studio non randomizzato, condotto in pazienti con Covid-19 non grave con non più di 7 giorni di insorgenza, in cui il medicinale Favipiravir è stato confrontato all’antivirale Lopinavir/Ritonavir (anch’esso non autorizzato per il trattamento della malattia Covid-19), in aggiunta, in entrambi i casi, a interferone alfa-1b per via aersol”. Risultato? “Sebbene i dati disponibili sembrino suggerire una potenziale attività di Favipiravir, in particolare per quanto riguarda la velocità di scomparsa del virus dal sangue e su alcuni aspetti radiologici, mancano dati sulla reale efficacia nell’uso clinico e sulla evoluzione della malattia. Gli stessi autori riportano come limitazioni dello studio che la relazione tra titolo virale e prognosi clinica non è stata ben chiarita e che, non trattandosi di uno studio clinico controllato, ci potrebbero essere inevitabili distorsioni di selezione nel reclutamento dei pazienti”. Il Favipiravir – commercializzato con il nome di Avigan – è un derivato della pirazinecarbossammide e nel 2016, era stato usato per combattere il virus Ebola in Guinea.

In una ulteriore nota l’Agenzia italiana del farmaco ribadisce di essere “costantemente impegnata a tutelare la salute pubblica, a maggior ragione in un momento di emergenza come quello attuale dando informazioni puntuali e aggiornate sulle evidenze scientifiche. E nell’esortare a non dare credito a notizie false e a pericolose illazioni, si riserva il diritto di adire a vie legali ove opportuno”. Alla cautela delle autorità corrisponde lo scetticismo del virologo Roberto Burioni: “Non esistono evidenze scientifiche in merito. Il farmaco russo, il preparato giapponese, la vitamina C, la pericolosità dell’ibuprofene, i proclami sugli Ace inibitori che i somari scrivono Eca hanno una cosa in comune: sono tutte scemenze. Le novità vi arriveranno dalle autorità sanitarie, non dai social o da YouTube”. Infatti, sulla rete si intrecciano dati di difficile verificabilità.

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